Strage del Pilastro: Uno Bianca, i documenti tenuti segreti già dal 1991, esposto in Questura
UNO BIANCA... esposto in Questura
Grazie al giornalista Massimiliano Mazzanti, che ha scoperto due documenti inediti per l'opinione pubblica, documenti che alimentano ancor di più i misteri che a distanza di 30 anni, avvolgono ancora l'orrore della Uno Bianca. legami che attestano il collegamento fra i fratelli Savi e l'eccidio al Pilastro. Questo nesso, a detta del giornalista, poteva essere provato già nel 1991.
Al Pilastro
da poco, in una serata del 4 Gennaio 1991, al quartiere Pilastro, erano passate le lancette dell'orologio sulle ore 22:00. un'auto di pattuglia dell'Arma dei Carabinieri con a bordo l'equipaggio composto da Andrea Moneta, Mauro Mitilini e Otello Stefanini. Si trova davanti una Uno Bianca, si scatena un inferno di fuoco. I tre militari soccombono sotto i colpi esplosi di quella che poi sarà battezzata la banda della Uno Bianca che da Giugno del 1987 tra Emilia Romagna e Marche semina terrore. Da subito le indagini si concentrano sulla ricerca delle armi, e nello specifico di due fucili, il Beretta AR-70 e il Sig-Manurhin. In tutta la regione ce ne sono alcune decine e tutte regolarmente dichiarate e uno dei possessori corrisponde al nome di Fabio Savi, fratello dei poliziotti Roberto e Alberto.
Perché si poteva collegare il tutto già nel '91?
lo si apprende da una nota del 2 Febbraio del 1991, dell'allora vicequestore di Rimini, Oreste Capocasa, in risposta ad una richiesta inviatagli dalla Criminalpol. Capocasa scrive: "Si comunica che dagli accertamenti esperiti, è emerso che presso l’armeria Savini di Rimini, nel periodo 1988-1991, sono state vendute le seguenti armi...". Tra le quali "una carabina semiautomatica Sig-Manuhrin cal. 222R", venduta "il 18 gennaio 1989 a Fabio Savi, nato il 22 aprile 1960 e residente a Villa Verucchio". Poi l’aggiunta: "L’arma è stata denunciata ai CC di Villa Verucchio e risulta ancora in carica al predetto".
Ma gli anni passano e di questa nota non si prendono le dovute attenzioni investigative, tant'è che la banda continua a commettere altri crimini e la pista seguita dagli investigatori porta ai fratelli William e Peter Santagata, a Massimiliano Motta e a Marco Medda, tutti portati a processo, per poi essere assolti e risarciti dallo Stato Italiano.
Quando avvenne la svolta investigativa?
Siamo al 22 Novembre 1994, due poliziotti, Luciano Baglioni e Pietro Costanza, in forze al commissariato di Rimini, intuiscono che i Savi centrano eccome. In manette finiscono i due colleghi poliziotti Roberto e Alberto e l'altro fratello camionista, Fabio.
Cominciano le confessioni, dopo le deposizioni dei Savi, la Dda da seguito a nuove richieste di ulteriori indagini. Con particolare riferimento all'omicidio del Pilastro e ad altri cinque fatti di sangue, tra cui gli omicidi di Stasi, Erriu e Beccari.

Il giallo sul fucile
in pratica lo stesso che nel 1991 venne segnalato nella nota da Capocasa. E nello specifico, gli allora dirigenti della Digos di Bologna, scrivono che la perizia balistica effettuata sulle armi in possesso dei Savi, hanno dato conferma della loro responsabilità al Pilastro. In particolare, “il fucile Sig-Manhurin cal. 222, fino ad ora inedito, indicato specificamente da Roberto Savi, prima dell’esperimento peritale, come una delle armi che spararono al Pilastro e nella rapina alla coop di via Gorky".
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Foto: Rep- la Repubblica |
In pratica, a distanza di quattro anni, il Vicequestore di Rimini ebbe la giusta intuizione, ma la sua nota non fu mai inserita come fonte investigativa, dal momento in cui, i colleghi bolognesi definiscono quattro anni dopo, inedito il fucile Sig-Manhurin cal 222. Pertanto ci si chiede, come mai questa incongruenza tra le due carte-note? Forse un errore, una svista, o altro?
A chiederselo è il giornalista Massimiliano Mazzanti, autore del libro Uno Bianca, che in questo periodo ha depositato un esposto in Questura all'indirizzo del Procuratore capo.
Nell'atto si chiede "Chi ordinò e con quale atto di delega, di indagare sui possessori dell’arma? Quel che appare sconcertante ancora oggi, è che già a poche settimane dall’eccidio del Pilastro, chi avrebbe dovuto mettere fine alla tragica epopea dei Savi, possedeva i riscontri che portavano direttamente ai loro nomi nell’incrocio di tutte le tre tipologie di armi usate nella strage".
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