Caso Almasri e indagini sui vertici del Governo: il dibattito tra magistratura e avvocatura
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Nel documento la comunicazione inviata dalla procura di Roma |
L’inchiesta sul caso Almasri ha portato all’iscrizione nel registro delle notizie di reato della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e di alcuni ministri. La decisione della Procura di Roma ha immediatamente innescato un acceso dibattito giuridico e politico, alimentato dalle posizioni contrastanti dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) e dell’Unione delle Camere Penali Italiane (UCPI). Al centro della questione: l’iscrizione era davvero un atto dovuto o si sarebbe dovuto prima compiere una valutazione più approfondita?
La posizione dell’Associazione Nazionale Magistrati: un atto obbligato dalla legge
L’ANM ha ritenuto opportuno chiarire la natura dell’atto compiuto dalla Procura di Roma, respingendo le accuse di strumentalizzazione politica. L’organo rappresentativo della magistratura ha sottolineato come non si sia trattato di un avviso di garanzia, bensì di una comunicazione di iscrizione, un passaggio imposto dall’articolo 6, comma 1, della legge costituzionale n. 1/1989.
Questa norma stabilisce che, nel momento in cui viene presentata una denuncia nei confronti di un ministro, il procuratore della Repubblica debba trasmettere gli atti al Tribunale dei Ministri entro quindici giorni, senza condurre indagini preliminari. Contestualmente, è previsto che le persone coinvolte vengano informate per consentire loro di depositare memorie difensive o chiedere di essere ascoltate.
Secondo l’ANM, dunque, non vi era alcuno spazio discrezionale: l’iscrizione era un passaggio obbligato e non una scelta della Procura.
La replica dell’Unione delle Camere Penali Italiane: non esistono automatismi nelle iscrizioni
Di tutt’altro avviso l’UCPI, che ha criticato la decisione della Procura di Roma, sottolineando come il principio dell’“atto dovuto” non possa essere interpretato in senso automatico. L’Unione ha ricordato che, secondo la giurisprudenza consolidata della Cassazione (sentenza "Lattanzi" del 2009), l’obbligo di iscrizione sussiste solo quando emergano elementi concreti e circostanziati, non semplicemente in presenza di una denuncia o di un esposto generico.
Questa impostazione è stata rafforzata dalla riforma "Cartabia" del 2022, che ha modificato l’articolo 335 del Codice di Procedura Penale stabilendo che l’iscrizione debba riguardare fatti determinati e credibili, accompagnati da indizi a carico della persona indagata.
Un ulteriore riferimento chiave è la cosiddetta “circolare Pignatone” del 2017, che ha escluso qualsiasi automatismo nelle iscrizioni al registro degli indagati. Il documento metteva in guardia dal rischio che fosse la polizia giudiziaria o addirittura il privato denunciante a determinare, di fatto, l’apertura di un’indagine senza un vaglio preliminare da parte della magistratura.
L’UCPI ha quindi sottolineato che il pubblico ministero ha il dovere di valutare, prima dell’iscrizione, se i fatti riportati siano astrattamente configurabili come reati. Se questa analisi porta a un esito negativo, l’iscrizione non dovrebbe avvenire.
Il precedente citato dall’UCPI: due pesi e due misure?
Per rafforzare la propria tesi, l’Unione ha ricordato un caso analogo: l’esposto presentato dall’On. Roberto Giachetti contro il Ministro della Giustizia Carlo Nordio e due sottosegretari, ritenuti responsabili di presunte omissioni in relazione ai suicidi avvenuti nelle carceri italiane.
In quell’occasione, la Procura di Roma decise di non iscrivere gli esponenti di Governo nel registro degli indagati né di trasmettere gli atti al Tribunale dei Ministri. Secondo l’UCPI, questo dimostrerebbe che l’iscrizione non è sempre un atto dovuto, ma implica una valutazione di merito da parte della magistratura.
Un dibattito giuridico con forti implicazioni politiche
Al di là degli aspetti tecnici, la vicenda ha assunto una forte connotazione politica. Da un lato, il Governo denuncia una strumentalizzazione giudiziaria, dall’altro, la magistratura ribadisce di aver seguito pedissequamente la normativa vigente.
Di certo, la questione riporta al centro del dibattito il rapporto tra politica e giustizia, un tema che in Italia è stato spesso oggetto di polemiche e che potrebbe riaccendere la discussione su una riforma del sistema giudiziario.
A tal proposito, resta attuale una celebre riflessione di Platone citata dall’UCPI: “Il capolavoro dell’ingiustizia è di sembrare giusta senza esserlo”. In questa vicenda, ognuno sembra vedere giustizia o ingiustizia a seconda della propria prospettiva.
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