Tra tradizione e modernità, c'era una volta il Natale... - NOC Press

Tra tradizione e modernità, c'era una volta il Natale...


a cura di Donata dei Nobili, degli alunni della redazione del giornale scolastico "Il Filo d'Arianna" e della classi C e D della scuola primaria "Giovanni Tancredi- V. Amicarelli" di Monte Sant'Angelo.

Tanto tempo fa, la magia e la religiosità del Natale si faceva sentire nella nostra cittadina. Soprattutto durante il periodo dell’Avvento.

Dal 25 novembre al 25 dicembre, ogni giorno rappresentava un’intensità spirituale ed emotiva che cadenzava il tempo: “santa Caterina, a Natel na trentine; sant’Andrea, a Natel vntsei; san Nicola, a Natel dicianove; la Cuncett, a Natel diciassette, santa Lucia, a Natel tridici dije a chi n’è vole cuntè semp dudici ci hanna truvè”.

A Santa Lucia, iniziava anche il conteggio delle “Calemme”, assegnando ad ogni giorno, fino a Natale, un mese dell’anno successivo da gennaio a dicembre e, al contrario, da dicembre a gennaio, da santo Stefano all’Epifania come una previsione mensile metereologica.

Nei giorni precedenti il Natale, diversi gruppi di zampognari, provenienti dall’ Abruzzo con i loro abiti pastorali, intonando canti natalizi, accompagnati dalla melodia delle zampogne e ciaramelle, scendevano per le strade cittadine, allietando i passanti con nenie natalizie.

A Monte Sant'Angelo, i nostri anziani intervistati difendono la memoria del popolo montanaro e raccontano tutte le tradizioni natalizie.

Un antico detto recitava: “Natel la priscezz d’lu quatrere”. Entro il giorno di santa Lucia, bambini e adolescenti si adoperavano per costruire un piccolo e modesto presepe nelle proprie case. Ci hanno riferito i nonni che per la realizzazione del suggestivo presepe necessitava del materiale che i bambini dovevano cercare nelle campagne circostanti la città. Estraevano la creta dalle venature argillose della roccia per plasmarla e costruire i pastori, raccoglievano il muschio, zolle erbose, pungitopo, ramoscelli con i corbezzoli e tanti sassi e sassolini.

Dopo l’allestimento, a cui partecipavano anche gli adulti, la sera del 24 dicembre, dopo le dovute preghiere, il presepe e in particolare il bambinello Gesù, veniva benedetto dal capofamiglia.

Un’antica narrazione ci ricorda che san Francesco d’Assisi con frà Illuminato realizzarono nel 1223, per la prima volta, un emozionante presepe.

L’allestimento della Natività fu denominata "Presepio", in quanto fatta in una stalla, in latino PRAESEPIUM.

Raccontano ancora gli anziani, che prima e durante la messa del 24 dicembre, in diverse case venivano preparate le pettole, dolci tipici del periodo natalizio e, alcune, venivano offerte ai vicini di casa, in modo da cancellare contrasti o litigi. La cena, invece, era un piatto di “laine, cicr e baccalà”, come secondo, anguille arraganate o fritte, baccalà fritto, salsicce alla brace, pettole bagnate nel vincotto di fichi, calzuncidd, frutta secca, abbondante vino e acqua “d’la pscin”, un’usanza delle famiglie agiate.

I bambini, durante il pranzo de 25 dicembre, mettevano di nascosto, sotto “la spasett” (unico grande piatto utilizzato contemporaneamente da tutto il nucleo familiare) la letterina, indirizzata a Gesù bambino, che, dopo lo sparecchiamento, decantavano ai propri genitori e, in seguito, ai propri familiari e ai “cumper di battesimo”, che i quatrer, amorevolmente e affettuosamente, chiamavano “zi cumper”. I genitori, facendo finta di meravigliarsi, dopo la lettura della letterina, distribuivano delle monete ai propri figli.

Il pranzo del 25 e 26 dicembre e dell’Epifania aveva come primo piatto pasta fatta in casa condita con il ragù “d’jadducce” e di agnello o capretto o suino, cotti in una pentola di creta, posta sopra “u rascir”. In tutti gli altri giorni, non si festeggiava e si tornava alla parca cucina campagnola.

In quel tempo, non esisteva Babbo Natale, in quanto tradizione dei territori dal nord Europa. Nella nostra cultura, invece, fino alla seconda metà del XX secolo, il compito di elargire doni veniva dato a una fantasiosa e simpatica vecchietta che, aleggiando a cavalcioni di una scopa, si intrufolava nei comignoli delle abitazioni per riempire di leccornie i “calizitt”, appese internamente sulle porte dei "quatrer", bambini. La simpatica vecchietta era la Befana.

L’incanto del Natale (foto Donata dei Nobili)
Nel periodo natalizio, gli adulti facevano o ricevevano regali nel giorno dell’Epifania, in ossequio alla relativa donazione fatta a Gesù bambino da parte dei re Magi.

Durante la notte del 5 gennaio, entravano nelle case anche i Defunti (o i morti) per ricongiungersi “spiritualmente” con i vivi. Le nostre trisavole, religiosamente, avevano un viscerale culto e legame affettivo verso i Defunti, che si manifestavano soprattutto la sera del 5 gennaio, quando imbandivano, per essi, considerandoli spiritualmente gratitissimi ospiti nelle proprie case, la mensa con una “pagnotella”, formaggio, altri cibi, coltelli, posate, bicchieri ed acqua. Per la sentitissima tradizione, in tutte le abitazioni di Monte Sant'Angelo venivano messa sulla tavola imbandita una ciotola piena di acqua santa con un ramoscello di ulivo benedetto, per consentire ai Defunti (morti) di benedire la casa, ago e filo, come simboli di “ricucitura” fra i vivi e i morti, e un piatto con l’acqua sulla quale galleggiavano i lumini accesi, che irradiavano le fiammelle ad indicare la vita eterna “post mortem” delle anime dei Defunti.

Questo nuovo "Santa Claus" ebbe successo e, dagli anni Cinquanta, conquistò anche l’Europa, diventando, in Italia, Babbo Natale.

Il Natale di oggi è lontano dai racconti degli anziani ed è quasi diventato un ingannevole spot pubblicitario.

Nella città, si vive la magia del Natale. Si riscopre la tradizione dei presepi viventi, lo scintillio delle luminarie e ci si perde nella storia, passeggiando tra i borghi addobbati a festa.

Più che una festività religiosa, sembra un inno al divertimento, al piacere, al consumo. I seducenti inviti, di solito, sono scritti su carte platinate e luccicanti con foto o disegni di maestosi alberi di Natale ricchi di doni e di colori.

Anche il pranzo di Natale non è più quello tradizionale della “famiglia allargata” di una volta, ma, spesso, si va nei ristoranti per consumare cibi a propria scelta.

Sembra che l’albero di Natale, così come viene usato oggi, sia nato a Tallin, in Estonia nel 1441, quando fu eretto un grande abete nella piazza del municipio, attorno al quale, giovani, scapoli, uomini e donne, ballavano insieme in cerca dell’anima gemella.

L’albero di Natale è, insieme con la tradizione del presepe, una delle più diffuse usanze natalizie.

L'albero può essere addobbato in casa o tenuto all’aperto, viene preparato qualche giorno o qualche settimana prima di Natale e rimosso dopo l’Epifania, ci riferiscono gli alunni della scuola primaria.

Quando l’albero viene collocato in casa, è tradizione che ai suoi piedi venga collocato anche il presepe. In questi ultimi anni, sotto l'albero ci sono solo i regali di Natale ben impacchettati, in attesa del giorno della festa per essere aperti. Non si scrive più neanche la letterina a Babbo Natale, perché la generazione digitale ha perso l’abitudine di scrivere e, se potesse, gli invierebbe un “mi piace”.

Quel suggestivo presepe di una volta sta scomparendo in molte case. Quasi in tutte lampeggiano maestosi alberi con addobbi strani e luci made in Cina. La "vecchia" idea di san Francesco e di frate Illuminato è stata quasi dimenticata e sostituita da altre logiche di consumo. In ogni borgo o città, irrompe l'apparire, il "bello", la gioia di vivere in città piene di luci colorate con qualche riferimento alla natività, schiacciato da Babbo Natale, con un sacco stracolmo di doni.

Il mito di Babbo Natale è nato dalla leggenda di san Nicola, vissuto nel IV secolo, che si festeggia tradizionalmente il 6 dicembre. Secondo la tradizione, san Nicola regalò una dote a tre fanciulle povere, perché potessero andare in spose, invece di prostituirsi.

Questo nuovo "Santa Claus" ebbe successo e, dagli anni Cinquanta, conquistò anche l’Europa, diventando, in Italia, Babbo Natale.

Anche questa tradizione nordica, ormai dominante, ha subito una piccolissima variazione religiosa. Le famiglie cattoliche raccontano ai lori piccoli che un angioletto viene consultato da Babbo Natale per conoscere l'animo dei bambini. Si narra che l’angioletto strinse un patto. L'angioletto era disposto ad aiutare Babbo Natale solo se avesse riempito la sua slitta, trainata dalle sue renne, di doni da consegnare a ciascun bambino la notte santa, quando nelle tantissime case veniva ricordata la nascita di Gesù. Fu così che Gesù Bambino nominò Natale papà di ogni bambino, donandogli il nome di Babbo Natale a cui ogni bambino dovrà consegnare la letterina e indicare il regalo desiderato.

Queste storie fantastiche, ormai, sono lontane da quelle raccontate dai nostri compaesani e sembrano narrazioni collodiane, prive di emozioni sante e inondate da altri profumi che coprono l'incenso. Le tante case, ormai, sono ricche non di pastorelli o di presepi, bensì di grandi quantità di dolci e tantissimi giochi e profumi. Anche i dolci, che a Natale profumavano le case di aromi da stordire i sensi, tipo pettole, cartellate e calzuncidd hanno ceduto il posto al pandoro, al pasticciotto, alle zeppole, al panettone, ai torroni ed a tanti altri che provengono dalle fredde e anonime pasticcerie.

Dove è finito il senso religioso del Natale?
Dicono che sia la modernità di questo tempo, ma ognuno resta sempre più solo sulla terra.
BUON NATALE A TUTTI!




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