Gli hikikomori, i giovani che vivono chiusi in una stanza - NOC Press

Gli hikikomori, i giovani che vivono chiusi in una stanza






Secondo stime non ufficiali, in Italia, circa 100mila ragazzi trascorrono le giornate isolati nelle loro stanze, senza contatti col mondo esterno. Il ritiro avviene per cause diverse ed è graduale, ma l'associazione Hikikomori Italia invita a non aspettare: più tempo si trascorre in questo stato, più è difficile tornare indietro.

In Giappone, dove il fenomeno è nato, sono oltre un milione. L’età media di inizio è intorno ai 15 anni, ma è una condizione che tende a cronicizzarsi perché si autoalimenta. L’isolamento ha origine nell’ansia sociale, nella paura del giudizio, nella sensazione di non riuscire a legare.

Questi ragazzi vivono chiusi nella loro camera da letto, spesso senza avere alcun contatto diretto con il mondo esterno. La tendenza alla solitudine non fa che peggiorare la situazione: più si sta isolati, più si fa fatica ad uscirne in un circolo vizioso che può durare anche tutta la vita. In Giappone ci sono hikikomori over 40 che hanno cominciato in adolescenza.

In Italia esiste l’associazione Hikikomori Italia, nata nel 2017 , fondata da Marco Crepaldi, psicologo

Ma chi sono gli hikikomori?

Come anticipato il termine nasce in Giappone e significa letteralmente “stare in disparte”. Tra il 70% e il 90% dei casi si tratta di maschi tra i 14 e i 30 anni. Ci sono alcune caratteristiche che accomunano i ragazzi che decidono di ritirarsi. Spesso si tratta di figli primogeniti, ragazzi introversi e sensibili, molto intelligenti e bravi a scuola. Quasi tutti sono estremamente critici con la società e hanno difficoltà a instaurare rapporti soddisfacenti e duraturi. Sono giovani che non reggono le pressioni sociali, dalle quali cercano di fuggire. Hanno un’ansia del giudizio che può essere quello scolastico, lavorativo o emotivo. Alcune volte dietro una storia di ritiro si nasconde un episodio di bullismo, un padre assente o una madre attaccata in modo eccessivo.

Circa le cause che determinano tale ritiro non esiste una sola causa, e la dipendenza da internet è una conseguenza. È l’unico modo, ci spiegano dall’associazione Hikikomori Italia, per mantenere un legame con il mondo esterno. Per questa ragione, non va sottratto e certamente non è il modo per risolvere il problema. A causare il progressivo isolamento ci possono essere cause scolastiche ed è proprio il rifiuto della scuola il primo campanello di allarme. È un ambiente che viene vissuto in modo negativo per la pressione del giudizio e la difficoltà a relazionarsi con i compagni. Ci sono cause sociali in senso più stretto che arrivano da visioni pessimistiche di quello che viene offerto. E poi c’è la famiglia. A volte i ragazzi che si ritirano hanno padri assenti, separazioni recenti o non metabolizzate, un attaccamento eccessivo con la madre.

Alla domanda circa il fatto che l'età media di inizio è intorno ai 15 anni, quindi ancora in anni di obbligo scolastico. Come funziona in questi casi? Non c’è un intervento degli assistenti sociali?, il fondatore dell’associazione Crepaldi risponde: “Capita, purtroppo, ma non è un problema di mancanza dal punto di vista genitoriale. È vero che c’è l’obbligo scolastico ma c’è anche la possibilità per i ragazzi di andare avanti in forme alternative, per esempio in forma domiciliare. C’è infatti un aumento di casi di home schooling. Questo comporta un aumento dell’aggravio del lavoro dei genitori. In altri casi, il ragazzo non accetta neanche questo tipo di servizio e si chiude completamente nella propria camera da letto e a questo punto non c’è molto che si possa fare. Le armi che si hanno sono poche".

Il processo che porta all’isolamento totale è graduale. E le fasi descritte, precisano dall’associazione Hikomori Italia, possono essere non così rigide. Di massima gli stadi sono tre. Il primo campanello di allarme è il rifiuto saltuario di andare a scuola e di frequentare eventi di vita sociale (feste, sport, pranzi). In un primo periodo il ragazzo tende a isolarsi, a rifiutare la scuola, lo sport. Inizia a scambiare il giorno con la notte. Trascorre sempre più ore al buio abusando delle nuove tecnologie. In un secondo momento, il rifiuto della scuola è totale ma vengono mantenuti i rapporti con la famiglia. L’abuso delle nuove tecnologie peggiora così come l’umore. Con l’isolamento totale il ragazzo si allontana anche dai genitori. Ed è estremamente difficile riportarlo alla vita sociale attiva. Per questa ragione, sottolineano dall’associazione, è fondamentale intervenire al primo stadio. Più a lungo il ragazzo resta isolato, più è difficile tornare indietro.

Sempre Crepaldi sottolinea come spesso gli hikikomori hanno una famiglia molto apprensiva, in particolare la madre, mentre il padre ha un profilo già emotivamente fragile e incapace di costruire un rapporto con il figlio. Questo tipo di rapporto sfavorisce l’autonomia del figlio e il passaggio dall’adolescenza all’età adulta inteso come step evolutivo e psicologico. Spesso sono famiglie con un alto grado di scolarizzazione e questo porta a un’ulteriore pressione sul figlio per essere all’altezza delle aspettative.

E in effetti Il Giappone ha una società molto competitiva, ma in realtà tutte le società lo sono. Il successo personale è sempre più una nostra preoccupazione, ci si sente sempre meno belli, bravi e felice degli altri. Un hikikomori non è altro che un ragazzo che si nasconde e che cerca riparo da questo tipo di pressione e di alte aspettative interiorizzate.

Circa la questione che il 70 80% siano maschi, è da ritenere che l’uomo è educato a tenersi molto di più le cose dentro per non mostrarsi debole, tende a non chiedere aiuto, anche a diventare orgoglioso nel proprio dolore. Per questo costruisce meno relazioni intime a cui confessare una propria debolezza. Questa scarsa competenza emotiva porta a volte ad avere una scarsa cognizione della propria condizione. Chiedono molto meno aiuto anche agli psicologi.

Hikikomori non è al momento una diagnosi, è un fenomeno sociale ma è stato studiato a livello scientifico cross-culturale.


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