L’inquinamento da microplastiche ha raggiunto il nostro sangue
Ogni anno vengono prodotte oltre 300 milioni di tonnellate di plastica, e di queste almeno 14 milioni di tonnellate finiscono negli oceani. Non solo inquinano l’ambiente, danneggiando la vita marina, ma decomponendosi in microplastiche causano danni che si risentono su ambiente e salute a livello mondiale.
Secondo la definizione dell’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (Echa), le microplastiche sono frammenti di qualsiasi tipo di plastica dalle dimensioni comprese tra gli 0,33 e 5 millimetri. Possono essere frammenti di praticamente qualsiasi prodotto di uso quotidiano: da indumenti a bottiglie d’acqua, da reti da pesca a contenitori di alimenti e persino cosmetici e pneumatici.
Come con tutta la plastica, anche le microplastiche non sono biodegradabili, e prima che vengano scomposte possono passare centinaia di anni. Onnipresenti nell’ambiente, le microplastiche tendono ad accumularsi negli ecosistemi. Per questo vengono ritrovate nei fiumi e negli oceani di tutto il mondo, e persino in alcuni dei luoghi più remoti al mondo, tra cui la cima del monte Everest.
Il problema è che ora, questi stessi frammenti di plastica sono stati trovati per la prima volta nel sangue umano, suscitando preoccupazioni per la salute e rivelando la reale portata della morsa tossica della plastica sul nostro mondo.
Uno studio, condotto da un gruppo di scienziati nei Paesi Bassi e pubblicato sulla rivista Environment International, ha rilevato minuscole particelle in quasi l’80% delle persone testate. Gli scienziati hanno analizzato campioni di sangue di 22 donatori anonimi, tutti adulti in salute, e hanno trovato particelle di plastica in 17 di loro.
"Il nostro studio è la prima indicazione che abbiamo particelle di plastica nel sangue: è un risultato rivoluzionario - ha affermato al Guardian Dick Vethaak, uno degli autori dello studio -. Ma dobbiamo estendere la ricerca, aumentare le dimensioni del campione e il numero di polimeri valutati: per questo sono già in corso ulteriori studi”.
La metà dei campioni conteneva plastica PET, che è comunemente usata nella produzione di bevande in bottiglia, mentre un terzo conteneva polistirene, usato per confezionare alimenti e altri prodotti. Infine, un quarto dei campioni di sangue analizzati conteneva polietilene, materiale di cui sono fatte le buste di plastica.
I risultati supportano l’ipotesi che l’esposizione umana alle microplastiche presenti nell’ambiente comporti l’assorbimento delle stesse particelle all’interno dell’organismo e quindi nel flusso sanguigno. Al momento, sia i ricercatori che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) hanno affermato che non ci sono informazioni sufficienti per trarre conclusioni definitive su quanto le microplastiche nel sangue siano tossiche per l’essere umano. Sono infatti necessari ulteriori ricerche per valutare l’impatto dell’esposizione e se si tratta di un rischio per la salute pubblica.
Nonostante le implicazioni per la salute non siano ancora del tutto note, i risultati mostrano che le particelle di plastica possono viaggiare all’interno del corpo e depositarsi negli organi. È poi già noto che le microplastiche arrecano danni alle cellule umane e, insieme alle particelle di inquinamento atmosferico, causano milioni di morti precoci all’anno.
Infine, un nuovo report, al quale ha lavorato anche lo stesso Vethaak, ha valutato il relativo rischio di cancro; concludendo: «Ricerche più dettagliate su come le micro e nano plastiche influenzano le strutture e i processi del corpo umano e se e come possono trasformare le cellule e indurre cancerogenesi, sono urgenti. Soprattutto alla luce dell’aumento esponenziale della produzione di plastica. Il problema diventa ogni giorno più impellente».
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