Ossimori israeliani - NOC Press
Il conflitto israeliano-palestinese sta assumendo, di giorno in giorno, aspetti sempre più cruenti, più tragici, più estesi. Molti organi di informazione dicono che tra le truppe israeliane quotidianamente muoiono tra i cinque e dieci militari. Una strategia comunicativa ad hoc di Netanyahu che rimbalza tra i paesi occidentali ma che non tiene conto di diversi canali Telegram che raccontano in diretta le verità celate. Eppure, rivolgendoci a chi ha il dovere di consultare le fonti e verificarle, basterebbe consultare qualche fonte in loco per aver contezza dei funerali e delle commemorazioni. Identica sorte ma con numeri ben più alti tocca i palestinesi, chiusi tra i fronti di fuoco israeliani, di Hamas e Hezbollah.

Il focus oggi riguarda Israele, perché da vittima si sta trasformando anch’essa in carnefice, come lo sono chi la attacca, e senza riguardi verso la popolazione civile.

Le truppe di Netanyahu, anche quando erano sotto il comando di altri presidenti, hanno sempre combattuto guerre “mordi e fuggi”. Non sono abituate a conflitti a lungo termine. E ciò sta facendo la differenza, per perdite di vite umane e tracolli finanziari.

Israele, da quando e per come è nato dal quel 14 maggio del 1948, è sempre stato un paese ricco, e pur essendo natio filo-occidentale, ha dettato le linee guida in un Medio Oriente continuamente tumultuoso. Ha fatto passi da gigante negli armamenti e nelle tecnologie per esse, nell’intelligence, collaborando con i Paesi occidentali e allineandosi alle loro abitudini e linee guida economiche, tant’è considerato uno di loro, un’isola felice nel marasma magmatico mediorientale.

Oggi, però, i conti non tornano più agli economisti israeliani e di controcanto beni e servizi e spese belliche non sono più sopportabili. Il ministro delle Finanze si è espresso pubblicamente, ma solo in casa, prassi abituale da quelle parti perché anche se alleati all’Occidente i panni sporchi li lavano in casa. Ha denunciato che le casse israeliane piangono. Tuttavia, l’allarme lanciato all’establishment parrebbe uno specchietto per le allodole nemiche. Una guerra lunga solitamente, se non foraggiata, porta al tracollo con conseguenze negative sulla risoluzione del conflitto stesso. E qui la tesi sulla carta regge. Ma nei fatti, in campo israeliano parrebbe subentrare la visione completa del disegno di Netanyahu, che contrariamente allo storico “mordi e fuggi”, una guerra a lungo termine, pur con molte perdite umane tra civili e militari, e quelle infrastrutturali, è un investimento sul futuro del suo Paese.

Perché? Israele detiene, come è trapelato da alcune fonti interne delle sue intelligence (Shin Bet e Mossad, per intenderci) le più avanzate tecnologie per armamenti e i più ingegnosi e efficaci software per l’intelligence. Sembrerebbe un ossimoro ma è stato confermato. Un patrimonio che molti Paesi occidentali, States in prima fila, hanno già chiesto di comperare, oltre a essere in prima linea durante le fasi di ricostruzione edili e delle infrastrutture nel post-bellico.

L’incipit tutto israeliano, a domanda risponde, è che se si vuol vivere sereni a lungo è rendere inevitabilmente sicuri i confini. Ad oggi questi sono linee rette, vere e proprie borderline, anche psicologiche, di filo spinato e sotto il tiro di cecchini, tra paesi avversi alla stessa Israele. Gli stessi che sono vittime dei continui bombardamenti e avanzamento di truppe della Stella di David. Ad onor di cronaca, e non va assolutamente dimenticato, tra queste c’è anche la Striscia di Gaza, che da quel terribile e terroristico 7 settembre 2023, ha subito più perdite civili che militari, una fila interminabile di morti infantili e femminili, tra l’altro. Un attacco vile nel territorio di Israele, studiato nei minimi dettagli, pianificato e operato da Hamas, con il supporto di altri gruppi armati palestinesi, approfittando dell’indotto interno indebolimento del Mossad, fors’anche con infiltrati e traditori.

La strategia che collima con la sicurezza dei confini nazionali, e va detto, incanta l’opinione pubblica che, però, non sa tutto quello che lo stesso Netanyahu ha in mente. Lui vuole estendere quei confini, ridisegnandoli a suo piacere, riducendo quelli dei Paesi limitrofi, espropriando chi democraticamente ha uno Stato. In altre parole, sta invadendo quegli stati dove c’è Hamas e Hezbollah e con loro chi li sostiene.

Negli ultimi tempi abbiamo assistito al preponderante aumento dell’azione bellica di Israele. Se n’è parlato ampiamente, spesso chiedendosi se il suo gioco valesse la candela della libertà e democrazia, se attaccare l’Iran, se attaccare Unifil, se sconfinare in Cis-Giordania e soprattutto in Libano, se intimidire quei circa 280mila dissidenti israeliani rifugiati tra Gerusalemme Est e le Alture del Golan ovvero palestinesi considerati israeliani di serie B senza diritti per Netanyahu, se bombardare edifici civili abitati e ospedali colmi di ricoverati dove sotto si nascondevano i terroristi di Hamas e di Hezbollah, giustificasse morte e distruzione. La risposta è no, perché queste azioni sono pari a quelle di chi fa una sporca guerra, sono azioni terroristiche, azioni omicida, azioni di assassini, azioni non di effetti collaterali alla guerra perché mirati a farle.

Ora, non è che Israele fosse immune a tal modus operandi. Basti sapere che l’unica intelligence dell’Occidente, seppur la più efficiente under cover, con licenza di uccidere è sua. Ma questo non giustifica morti eccellenti con un alto numero di perdite civili.

Queste sono ore trepidanti, dove il mondo occidentale sta con il fiato sospeso per l’Iran che ha promesso di risolvere a modo suo il conflitto che Netanyahu ha scatenato contro l’Ayatollah Ali Khamenei dopo l'uccisione di leader Ismail Haniyeh. Potrebbe scatenarsi un terrificante bombardamento e poi una guerra oltre i confini mediorientali. Israele è certa di fronteggiarlo con i suoi sofisticati sistemi antimissile, con la Fionda di David e l’Iron Dome. Dagli USA giungono deboli stop, poiché ambedue i candidati alla Casa Bianca vorrebbero risolvere il conflitto dopo le imminenti elezioni presidenziali del 5 novembre, che inevitabilmente avrà bisogno di altre settimane per la proclamazione ed eventuali ricorsi. E in questa "vacatio" politica si inserisce la diabolica strategia di Netanyahu, certo del sostegno USA a prescindere cosa farà, giocherà la sua carta, senza aver indugi sui risultati distruttivi umanitari.

L’Europa, debole sul fronte politico e militare, invita ai trattati e nel frattempo sostiene le politiche NATO, in altre parole quelle statunitensi, cortocircuitandosi. Un po’ come sta avvenendo per l’altro conflitto, russo-ucraino, con la variante che li invia armi, militari e denari.

Se prima l’Iran stava pensando a un’attesa contro Israele, come anzidetto per l’esito delle presidenziali a stelle e strisce, oggi sembra non tener più conto delle parole del suo acerrimo nemico Trump; ha accelerato la corsa al nucleare sapendo che un attacco israeliano potrebbe distruggere le sue centrali. Le riserve iraniane di uranio arricchito, diminuite dopo i distensivi accordi con gli States di Biden (2846,5 kg) che poi sarebbe la strategia che vorrà proseguire Kamala Harris in caso di elezione, potrebbero ritornare al numero originario di 3.795,5 kg. E se una centrale fosse attaccata e impoverisse l’uranio, all’Ayatollah ci vorranno almeno sei mesi per riarricchirlo, tempi improponibili per le apocalittiche volontà di un’Iran sempre più intenzionata ad annientare Israele e chi la foraggia.

Intanto a Tel Aviv, fa fonti interne, aumentano le voci che non condividono la politica messa in campo da Netanyahu, definendola estremista e troppo di destra. Un uomo a comando di uno stato democratico che governa da re monocratico, con un entourage ristretto, sempre in divenire.

La parvenza è assicurare a Israele vicini di casa innocui, la sostanza è un’Israele più grande, chiudendo bocca, orecchi e occhi, turandosi anche il naso, alla continua richiesta del mondo occidentale dei “due popoli, due stati”, Israele e Palestina.

 
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