L’ignavia noncuranza di pavidi correi leoni da tastiera - NOC Press

L’ignavia noncuranza di pavidi correi leoni da tastiera


Porgere delle scuse a chi e cosa invece di ammettere una colpa, individuale o collettiva che sia, distoglie l’attenzione dal vero motivo dell’accusa. A noi pare un affronto alla verità, a chi quelle verità cerca di farle emergere nei suoi valori morali, etici ed anche legali se il reato potrebbe essere perseguibile. 

Non è il caso di quest’ultimo, non esiste perseguibilità, anche se la noncuranza in presenza di un reato potrebbe portare all’indiretta complicità, alla connivenza per esser chiari, prassi talmente becera pari all’ignavia. 

La connivenza o indiretta complicità con l’ignavia sono commistioni latenti tra il malfattore e chi lo osserva senza far nulla, spettatore di un reato trasformato in videomaker per un pugno di like. Questa purtroppo è la miserevole realtà di una società in deriva, schiava dei social network e del consenso e piacere altrui, mettendo da parte i veri valori di una Costituzione Italiana che ben definisce come comportarsi. 

I furti di autovetture in pieno giorno di tre o quattro malfattori incappucciati, tra l’altro operativi da tempo, vanno assolutamente denunciati, perseguiti e acciuffati, e non filmati con uno smartphone senza avvisare le Forze dell’ordine. E qui si perpetua la commistione. Il like non restituisce la dignità persa nel pubblicare sulla propria pagina social un reato, anzi etichetta quella persona e quelle del luogo cui appartiene, senza tener conto di quanta e tanta brava gente è popolata. 

Poi, ascoltando chi ha perpetrato quella commistione la risposta è: «Ho paura!» 

Paura di chi e cosa? Del ladro che minaccia? Ma se neanche se ne accorge che mentre stava rubando è stato ripreso e immortalato in un video. Lui è intento a rubare l’auto. E se anche se ne fosse accorto, non lo ha scalfito, tanto nessuno fa nulla, nessuno interviene e parla, nessuno chiama, nessuno denuncia. Tutti s’indignano, si lamentano, e altri piangono con lacrime da coccodrillo, per poi divulgare il filmato e attendere il like, oggigiorno molto più importante di una denuncia. C’è Omertà! 

Siamo innanzi a una contorta forma umana maldestramente bipolare, tra il pavido e l’audace, un mostro in altre parole. 

È noncuranza. È ignavia. È correità! 

Dalle istituzioni si grida “al lupo, al lupo”, come se quel lupo fosse comparso solo ora. Sono mesi, anzi anni e forse più che Cerignola e tutta l’area Ofantina ad essa limitrofa, ahinoi, è etichettata come capitale per furti d’auto, cannibalizzate e poi abbandonate nelle campagne e torrenti vicini. Non lo diciamo noi, bensì le Autorità competenti, certificando che tra il 2024 e inizio 2025 son state rinvenute ben 700 carcasse d’auto rubate e cannibalizzate nelle campagne ofantine del cerignolano. Lo stesso sindaco ha sollevato il caso, chiedendo maggiori interventi delle Forze dell’ordine, maggiore collaborazione della cittadinanza e lotta alla “quarta mafia”. Quelle Autorità che giovedì 27 marzo, alle ore 17:15, presso la Prefettura di Foggia, hanno presieduto al Coordinamento Provinciale delle Forze di Polizia per i furti d’auto a Cerignola. Un tavolo, ci permettiamo di affermare, “a babbo morto” giacché il fenomeno criminale è noto da molto tempo e mai si è proceduto ad arginarlo, perché debellarlo parrebbe un’impresa titanica. 

Certo, “a babbo morto” perché ora dopo il video del furto dell’auto del 24 marzo 2025, consumato a Cerignola in via XX Settembre, davanti a molti concittadini, spettatori ignavi e correi, ha fatto il giro del mondo, imbarazzando -usando un eufemismo- tutta la comunità cerignolana e per diretta appartenenza quella italiana. 

Noi, indagando giornalisticamente, scrivendo crude realtà e amare verità, ci mettiamo la faccia, denunciandole a mezzo stampa e nelle sedi giudiziarie. Voi, invece, senza metterci la faccia, al massimo un disegno o un banner, continuate a screditare la stampa, denigrando chi e cosa vi informa sulla realtà dei fatti e delle cose, spesso “persone informate sui fatti” per proteggere fonti, sempre verificate. 

Non è così che si combatte l’illegalità, quella che ha preso piede in un territorio di per sé attanagliato dalla “quarta mafia” che assolda “soldati” per pochi spiccioli che con i loro crimini sporcano un intero territorio. 

L’etichetta non vi piace. Non piace anche a noi. Ma è cucita addosso a tutti, purtroppo, per colpa di pochi, quelli che oggi si permettono finanche di dire che da “press” si è “fess”. Un fardello difficile da debellare, ma possibile da sgravare e chissà anche da eliminare. 

Intanto, chi da “press” ci definisce “fess” lo invitiamo a farsi un esame di coscienza, ad approfondire le sue letture con le nostre inchieste, e a battersi i pugni sul petto per un mea culpa che, più che un'assoluzione dall’alto, meriterebbe una riflessione sincera. Perché il rispetto si guadagna con il confronto e la correttezza, non con giudizi affrettati. E chi si affida alla tastiera per sminuire il lavoro altrui, forse dovrebbe fermarsi un momento a riflettere prima di premere “invio”.


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