Maltempo in Toscana. L'Arno è sempre a rischio esondazione. Intervengono i tecnici - NOC Press

Maltempo in Toscana. L'Arno è sempre a rischio esondazione. Intervengono i tecnici


Ore di apprensione che si vivono in Toscana per le avverse condizioni climatiche. L'Arno, seppur osservato e contenuto con molte azioni svolte dalla Protezione Civile, desta preoccupazione. La Regione Toscana fin dalle prime ore nei giorni scorsi ha già avviato un programma di socorso e nel contempo di monitoraggio continuo nei punti più nevralgici dove l'acqua tende a esondare.

A tal riguardo intervengono la Società Geologica Italiana e Ordine dei Geologi della Toscana.

Riccardo Martelli (geologo – Consigliere della Società Geologica Italiana e Presidente dell’Ordine dei Geologi della Toscana) : “Le intense e prolungate precipitazioni di queste settimane hanno messo a nudo le criticità oramai endemiche del nostro territorio aperto, incapace di trattenere le acque in un tessuto organico e ben strutturato di sistemazioni idraulico-forestali o agrarie. E’ necessario ripensare la progettazione delle aree aperte così da poter dare loro la funzione di presidio per le aree urbane o per i corridoi infrastrutturali principali o secondari. E’ altresì non più rimandabile un’azione coordinata delle amministrazioni centrali e locali per favorire il ripristino dei sistemi di drenaggio e programmare una continua ed efficace manutenzione dei medesimi”.

“L’evento meteo che sta interessando la Toscana in queste ore ha prodotto vari fenomeni di alluvionamento lungo le aste fluviali principali e secondarie, con locali criticità diffuse nella piana di Firenze e nel Valdarno e nella Valle della Sieve. Sotto attento monitoraggio da parte del gestore il lago artificiale di Bilancino, il cui canale scolmatore sta riversando nella Sieve volumi di acqua significativi.

L’evento si è manifestato diffusamente su tutta la regione, ma con un’intensità rilevante entro una stretta fascia partendo dalla costa livornese fino all’area di Marradi in prossimità dell’appennino tosco-emiliano. In questa fascia, che ha interessato le province di Livorno, Pisa, Lucca, Pistoia, Prato e Firenze fino all’Alto Mugello ha riversato al suolo cumulati di pioggia compresi fra 100 e 180 mm nelle ultime 36 ore, in aree nelle quali negli ultimi 30 giorni si erano già avuti cumulati di pioggia variabili da 100 a 300 mm.

Le intense e prolungate precipitazioni di queste settimane hanno messo a nudo le criticità oramai endemiche del nostro territorio aperto, incapace di trattenere le acque in un tessuto organico e ben strutturato di sistemazioni idraulico-forestali o agrarie. E’ necessario ripensare la progettazione delle aree aperte così da poter dare loro la funzione di presidio per le aree urbane o per i corridoi infrastrutturali principali o secondari. E’ altresì non più rimandabile un’azione coordinata delle amministrazioni centrali e locali per favorire il ripristino dei sistemi di drenaggio e programmare una continua ed efficace manutenzione dei medesimi. Queste azioni necessitano di un quadro conoscitivo sempre più approfondito degli ambiti territoriali significativi, così da poter delineare al meglio le dinamiche di un territorio che viene sollecitato da eventi di forte intensità con tempi di ritorno sempre più brevi. I geologi oggi, come sempre, sono al lavoro per valutare i fenomeni in atto e proporre soluzioni concrete per la messa in sicurezza del territorio urbano e delle aree aperte”. Lo ha dichiarato Riccardo Martelli, geologo, Consigliere della Società Geologica Italiana e Presidente dell’Ordine dei Geologi della Toscana.

“Nella stessa giornata in cui l'Arno fa paura tra Firenze e Pisa a Palermo si sfiorano i 30 gradi ed il vento di scirocco i 100 km/h trascinando sabbia che riduce la visibilità. Le recenti piogge in Sicilia non ci consentono di dimenticare il rischio desertificazione né di rinunciare a dragare i fanghi dalle dighe. Ci servirebbero tanto per interventi preventivi di Ingegneria Naturalistica per le prossime frane che inevitabilmente si alterneranno alla siccità. Ed inoltre dragare e riutilizzare i sedimenti interriti a monte di dighe o negli invasi collinari recupererebbe capacità d'invaso utile per laminare le piene e per avere poi maggiori riserve d'estate%”. Lo ha affermato Federico Preti, docente di Idraulica presso l’Università di Firenze e Presidente Nazionale dell’Associazione Italiana per l’Ingegneria Naturalistica che si sofferma sull’attuale situazione Italiana.

L’Italia territorio bello e vulnerabile

“Tutto ciò avviene su un territorio vulnerabile per l'aumento di consumo di suolo nei fondovalle e l'abbandono dell'entroterra. I corsi d'acqua arginati non reggono e si continua a impermeabilizzare il suolo e esponendo beni e vite umane a subire danni. Non basta più alzare gli argini o "pulire" gli alvei, il che può addirittura aumentare il rischio a valle. Le frane sono più frequenti nei versanti non più gestiti negli ultimi decenni, rispetto a quelli ancora mantenuti o boscati.

Oggi dobbiamo mitigare l'aumento di rischio idrogeologico, compensando gli effetti del consumo di suolo e del cambio climatico con la prevenzione tramite soluzioni basate sulla natura, ovvero realizzando interventi innovativi di Ingegneria Naturalistica con investimenti 10 volte inferiori a quelli per la ricostruzione in emergenza post eventi catastrofici – ha proseguito Federico Preti - e dando opportunità di lavoro a tecnici, professionisti e giovani disoccupati. L'Ingegneria Naturalistica sviluppata in Italia da decenni ha le sue radici nelle Sistemazioni Idraulico-Forestali, patrimonio culturale, tecnico e scientifico italiano (nate a Vallombrosa ben oltre un secolo fa).

Con tali tecniche consolidate si attuava la difesa del suolo dei bacini collinari e montani, prioritaria per l'economia del Paese.

E oggi anche i massimi esperti di Frane e di Desertificazione riconoscono il ruolo fondamentale di tali soluzioni. La strada oggi è quella di rinaturalizzare il territorio quanto prima (secondo la Restoration law e compensando l’abbandono e la mancanza di manutenzione delle Aree Interne) e pianificare interventi strutturali e non strutturali (anche delocalizzazioni di edifici) a medio e lungo termine (recuperando risorse economiche da altri settori non così prioritari rispetto al DISAsTRO “idrogeocementizio”ovvero “idrogeo-Illogico”) ”.

Il riferimento alla Toscana! Un esempio concreto: INTERVENTI DIFFUSI A MONTE

“Il cambiamento di uso del suolo e la minore manutenzione dei nostri bacini idrografici, oltre agli effetti del cambio climatico, hanno portato oggi ad un rischio notevolmente maggiore. Anche con riferimento all’alluvione in corso da ieri e a quelle del novembre 2023 in Toscana e alla precedente in Emilia Romagna, è stato di recente confermato che solo per la perdita di trattenuta e rallentamento nel reticolo idraulico minore e nei terrazzamenti di versante (cassa di espansione-laminazione equivalente diffusa), la pericolosità è aumentata intorno al 20-30%, e considerando anche gli effetti del cambio climatico, fino a oltre il 50% (quindi gli eventi critici ora hanno una frequenza maggiore, ovvero un tempo di ritorno minore). Se poi si considera il consumo di suolo che ha enormemente aumentato la vulnerabilità – ha continuato Preti - e l’esposizione di beni e persone al danno, ecco che abbiamo un rischio che è cresciuto in maniera ormai insostenibile.

Da recenti sudi dell'Università di Firenze e AIPIN su bacini idrografici colpiti da alluvioni, si è quantificato che il RISCHIO IDROGEOLOGICO è aumentato di decine di volte a seguito di trasformazioni del territorio ed effetti del cambio climatico e questo puà essere compensato da interventi di Ingegneria Naturalistica. Si consideri anche la spesa per interventi di prevenzione può essere inferiore di 10 volte rispetto a quella per interventi post-catastrofi. Intervendo “a monte” possiamo avere ulteriori vantaggi (ad es. trattenere e rallentare l’acqua garantisce anche accumulo di riserve per i periodi siccitosi e ravvenamento delle falde).

In realtà i fenomeni di dissesto (erosione, frane, esondazioni, etc.) sono naturali, ma creano danni solo se si costruisce e vive in zone a rischio (se possibile, la soluzione migliore sarebbe non-strutturale: divieto di costruire o delocalizzazione) ”.

Oggi servirebbero 3 miliardi all'anno da spendere per mitigare il rischio in Italia, a fronte di circa il triplo speso ogni anno per ricostruire dopo le catastrofi.

“Oggi ci servirebbero 3 miliardi all'anno da spendere per mitigare il rischio in Italia, a fronte di circa il triplo speso ogni anno per ricostruire dopo le catastrofi.

Da sempre, con l’Ingegneria Naturalistica, si privilegia l’opzione zero (non-intervento se non necessario, in caso di processi naturali) oppure la rinaturalizzazione/riqualificazione prima degli interventi strutturali che, qualora inevitabili si realizzeranno con opere “verdi” rispetto a quelle convenzionali “grigie”, tenuto conto dei limiti tecnici e della deontologia professionale. Il tutto rispettando, naturalmente, il principio Do No Significant Harm (DNSH) per cui gli interventi non arrechino alcun danno significativo all'ambiente. Ormai le strategie e programmi europei e nazionali – ha concluso Federico Preti - anche sostenuti dal Recovery Plan/PNRR, vanno in questa direzione. Ad es., con l’emanazione del DPCM 27/09/2021 sono stati definiti criteri e metodi per identificare le priorità di finanziamento degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico in Italia: tra gli interventi proposti, si darà priorità ai cosiddetti interventi “integrati”, nei quali si associa la protezione di ecosistemi e biodiversità alla mitigazione del rischio idrogeologico

L'Ingegneria Naturalistica ha, pertanto, certamente un ruolo per la mitigazione del rischio idrogeologico e la riqualificazione del paesaggio, con costi più sostenibili e portando occupazione, compensando anche la mancanza di manutenzione del territorio e aumentandone la resilienza agli effetti del cambio climatico e del consumo di suolo”.

Rinaturalizzare il territorio

“La strada oggi è quella di rinaturalizzare il territorio quanto prima (secondo la Restoration law e compensando l’abbandono e la mancanza di manutenzione delle Aree Interne) e pianificare interventi strutturali e non strutturali (anche delocalizzazioni di edifici) a medio e lungo termine (recuperando risorse economiche da altri settori non così prioritari rispetto al DISASTRO “idrogeocementizio”ovvero “idrogeo-Illogico”). Un esempio concreto: INTERVENTI DIFFUSI A MONTE.

Il cambiamento di uso del suolo e la minore manutenzione dei nostri bacini idrografici, oltre agli effetti del cambio climatico, hanno portato oggi ad un rischio notevolmente maggiore. Anche con riferimento all’alluvione in corso e a quelle del novembre 2023 in Toscana e alla precedente in Emilia Romagna, è stato di recente confermato – ha continuato Preti - che solo per la perdita di trattenuta e rallentamento nel reticolo idraulico minore e nei terrazzamenti di versante (cassa di espansione-laminazione equivalente diffusa), la pericolosità è aumentata intorno al 20-30%, e considerando anche gli effetti del cambio climatico, fino a oltre il 50% (quindi gli eventi critici ora hanno una frequenza maggiore, ovvero un tempo di ritorno minore). Se poi si considera il consumo di suolo che ha enormemente aumentato la vulnerabilità e l’esposizione di beni e persone al danno, ecco che abbiamo un rischio che è cresciuto in maniera ormai insostenibile.

Da recenti sudi dell'Università di Firenze e AIPIN su bacini idrografici colpiti da alluvioni, si è quantificato che il RISCHIO IDROGEOLOGICO è aumentato di decine di volte a seguito di trasformazioni del territorio ed effetti del cambio climatico e questo puà essere compensato da interventi di IN Si consideri anche la spesa per interventi di prevenzione può essere inferiore di 10 volte rispetto a quella per interventi post-catastrofi. Intervendo “a monte” possiamo avere ulteriori vantaggi (ad es. trattenere e rallentare l’acqua garantisce anche accumulo di riserve per i periodi siccitosi e ravvenamento delle falde) ”.

Erosione, frane, esondazioni creano danni se si vive in zone a rischio

“In realtà i fenomeni di dissesto (erosione, frane, esondazioni, etc.) sono naturali, ma creano danni solo se si costruisce e vive in zone a rischio (se possibile, la soluzione migliore sarebbe non-strutturale: divieto di costruire o delocalizzazione).

Da sempre, con l’Ingegneria Naturalistica, si privilegia l’opzione zero (non-intervento se non necessario, in caso di processi naturali) oppure la rinaturalizzazione/riqualificazione prima degli interventi strutturali che, qualora inevitabili si realizzeranno con opere “verdi” rispetto a quelle convenzionali “grigie”, tenuto conto dei limiti tecnici e della deontologia professionale. Il tutto rispettando, naturalmente, il principio Do No Significant Harm (DNSH) per cui gli interventi non arrechino alcun danno significativo all'ambiente. Ormai le strategie e programmi europei e nazionali, anche sostenuti dal Recovery Plan/PNRR, vanno in questa direzione. Ad esempio, con l’emanazione del DPCM 27/09/2021 sono stati definiti criteri e metodi per identificare le priorità di finanziamento degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico in Italia: tra gli interventi proposti – ha concluso Preti - si darà priorità ai cosiddetti interventi “integrati”, nei quali si associa la protezione di ecosistemi e biodiversità alla mitigazione del rischio idrogeologico

L'Ingegneria Naturalistica ha, pertanto, certamente un ruolo per la mitigazione del rischio idrogeologico e la riqualificazione del paesaggio, con costi più sostenibili e portando occupazione, compensando anche la mancanza di manutenzione del territorio e aumentandone la resilienza agli effetti del cambio climatico e del consumo di suolo. Le casse di espansione attuali hanno volumi (decine di metri cubi a ettaro) e laminano i picchi di piena di circa il 10% corrispondenti alla laminazione diffusa che avevamo prima a monte.

Oggi ci servirebbero 3 miliardi all'anno da spendere per mitigare il rischio in Italia, a fronte di circa il triplo speso ogni anno per ricostruire dopo le catastrofi”.

 

 

 

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