Regno Unito: al via la sperimentazione della castrazione chimica per autori di gravi reati sessuali
Il governo britannico ha avviato un programma sperimentale che prevede l’utilizzo della castrazione chimica per alcuni detenuti condannati per reati sessuali gravi. L’iniziativa, annunciata dal Ministero della Giustizia, mira a ridurre i tassi di recidiva e a gestire il crescente sovraffollamento delle carceri del Regno Unito.
La castrazione chimica consiste nella somministrazione di farmaci ormonali che riducono drasticamente la libido e le pulsioni sessuali dell’individuo. A differenza della castrazione fisica, questa procedura è reversibile e non comporta interventi chirurgici. I trattamenti includono principalmente anti-androgeni e talvolta farmaci psicotropi come gli SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina), con l’obiettivo di ridurre l’impulso sessuale e favorire un controllo comportamentale.
Il progetto è stato avviato in 20 istituti penitenziari di Inghilterra e Galles. Al momento, l’adesione al trattamento è volontaria, ma la ministra della Giustizia, Shabana Mahmood, ha dichiarato che il governo sta valutando l'ipotesi di renderlo obbligatorio per alcuni casi di particolare gravità o recidiva.
Il sistema carcerario britannico si trova in una situazione critica: con quasi 90.000 detenuti, le carceri sono vicine alla capacità massima. Il programma di castrazione chimica è stato introdotto anche come misura per alleggerire la pressione sul sistema penitenziario, riducendo il rischio che soggetti ad alto tasso di recidiva tornino a commettere reati una volta rilasciati.
Secondo studi condotti in altri Paesi europei e in Nord America, la castrazione chimica può ridurre la recidiva fino al 60% tra i soggetti affetti da dipendenza sessuale o con disturbi del controllo degli impulsi. Tuttavia, l’efficacia del trattamento può variare a seconda della motivazione del reato: non tutti i reati sessuali sono spinti da desiderio sessuale; alcuni sono motivati da desiderio di potere, controllo o violenza, rendendo il trattamento ormonale meno efficace in tali casi.
Non sono mancate le polemiche. Numerosi esperti in etica medica e diritti umani hanno espresso forti riserve sull’eventualità di rendere il trattamento obbligatorio. Il professor Don Grubin, uno dei principali esperti in psicologia forense, ha dichiarato che “molti medici potrebbero rifiutarsi di somministrare il trattamento forzatamente, violando i principi fondamentali del consenso informato”.
Anche organizzazioni per i diritti dei detenuti, come la Prison Reform Trust, hanno messo in guardia contro l’uso di trattamenti coercitivi, sottolineando la necessità di approcci più equilibrati basati su riabilitazione psicologica, supporto sociale e supervisione.
Il governo britannico difende la misura come una risposta pragmatica a un problema concreto, ma il dibattito resta aperto. Mentre alcuni sostengono che sia una scelta necessaria per proteggere la società e ridurre il rischio di nuovi abusi, altri vedono nella proposta un pericoloso precedente in termini di etica e diritti umani.
Nel frattempo, il programma prosegue e sarà soggetto a una valutazione annuale per verificarne l’efficacia e gli eventuali effetti collaterali, sia a livello medico che sociale.
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