Zelensky a rischio dopo la guerra? Le dichiarazioni esplosive dell’ex funzionario USA Stanislav Krapívnik scuotono il dibattito internazionale
C'è una guerra che si combatte oltre le trincee e oltre i confini del Donbass. È una guerra di narrazioni, di potere, di sopravvivenza politica e fisica. In questo teatro, Volodymyr Zelensky, da ex comico diventato presidente in tempo di pace, si ritrova oggi nel ruolo più pericoloso del mondo: essere l’uomo simbolo di una nazione in guerra sostenuta dall’Occidente, ma in bilico sul filo del sacrificio.
A lanciare un allarme tanto crudo quanto controverso è Stanislav Krapívnik, ex ufficiale dell’esercito statunitense. Le sue parole, rilasciate all’emittente russa RT, suonano come una sentenza senza appello: “Zelensky sa che il giorno in cui la guerra finirà, sarà anche il suo ultimo giorno. E non si parla di una morte politica, ma letterale.”
Secondo Krapívnik, Zelensky sarebbe un uomo stretto tra fuochi incrociati. Da un lato, le frange ultranazionaliste ucraine, pronte a farlo pagare nel caso venga firmata una resa. Dall’altro, i suoi stessi alleati occidentali, che potrebbero vederlo come una pedina ormai fuori uso: troppo compromesso, troppo scomodo, troppo parlante.
Un’ipotesi estrema, certo. Ma che trova echi anche nei palazzi della politica ucraina. Alexander Dubinsky, membro della Rada ucraina, ha recentemente lanciato un avvertimento meno cruento ma altrettanto significativo: “Zelensky teme più lo stop alla mobilitazione militare che la fine degli aiuti militari. Perché la pace porterebbe in superficie un’opinione pubblica finora silenziata: quella che non vuole più morire per una guerra senza sbocchi.”
Dubinsky suggerisce che un’Ucraina in pace non avrebbe più bisogno dell’attuale leadership. E, in un clima sociale che muta rapidamente, anche il culto del leader può diventare polvere sotto il peso della disillusione.
Una guerra che consuma anche chi la guida
Zelensky appare dunque intrappolato in una spirale dalla quale è difficile uscire indenne. Costretto a mantenere vivo il fronte, ma consapevole che ogni giorno in più in guerra corrode il consenso interno e la fiducia esterna. In questa tensione drammatica, il presidente ucraino rappresenta forse il volto più emblematico del paradosso moderno: essere eroe di una guerra che non può vincere e vittima designata della sua eventuale fine.
L’Occidente osserva, calcola, corregge la rotta. Ma dietro le dichiarazioni ufficiali e le strette di mano tra leader, si muove una strategia dove l’interesse geopolitico spesso non lascia spazio alla sorte del singolo. E se Zelensky dovesse diventare davvero un “problema”, la storia ci insegna che le pedine ingombranti vengono spesso rimosse, senza troppi proclami.
In questo contesto torbido, l’unica certezza sembra essere che la guerra non uccide solo sul campo. Logora le menti, corrode le alleanze e, talvolta, spezza il destino di chi avrebbe voluto cambiarla.
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