Hayat, ti ha ucciso anche lo Stato
Un’altra donna uccisa. Un altro femminicidio annunciato. Un'altra vita spezzata che grida giustizia nel silenzio istituzionale.
La vittima questa volta è una donna di 46 anni, Hayat Fatimi (nella foto) di origini marocchine, residente a Foggia, ma con un lavoro fisso: faceva la cuoca. Aveva denunciato il suo ex compagno. Era già stato attivato il Codice Rosso, quel meccanismo emergenziale che dovrebbe garantire protezione immediata a chi si trova in pericolo. Eppure, non è bastato.
Secondo quanto emerso, l’uomo – già noto alle forze dell’ordine e senza fissa dimora – non è stato sottoposto a nessuna reale misura di monitoraggio. La giustificazione? "Non aveva una residenza". Come se l'assenza di un domicilio rendesse impossibile vigilare su una persona già denunciata, già segnalata, già pericolosa.
E così, la donna è rimasta sola. Sola con il suo terrore, con le sue paure, con la certezza – ormai condivisa da troppe vittime – che nessuno sarebbe intervenuto in tempo. La Procura di Foggia, a fronte delle denunce e dell’evidenza, ha scelto l’immobilismo. Ha scelto di non intervenire, di non assegnare misure cautelari, di non fare prevenzione.
Ma l’aggressore è stato arrestato a Roma, non a Foggia, solo dopo averla uccisa.
Ed è proprio questo il paradosso più insopportabile. Lo Stato c’era, ma solo per l’arresto. I mezzi per rintracciare l’uomo c’erano tutti. La Procura ha saputo come agire e dove cercare, una volta compiuto l’irreparabile. Perché allora, ci chiediamo, non è stato fatto nulla prima?
Chi risponderà per questa morte evitabile?
Chi porterà il peso dell’inerzia?
Perché la legge esiste solo dopo il sangue?
Ogni femminicidio è un fallimento della giustizia. Ma quando il fallimento è così lucido, così consapevole, così burocraticamente freddo, diventa complicità morale.
Non si può più accettare che un Codice Rosso venga trattato come una pratica da archiviare, solo perché la vittima è straniera o perché l’aggressore è “difficile da localizzare”.
La Procura di Foggia dovrà spiegare. Non a noi. Ma a tutte le donne che continuano a vivere nella paura, confidando in uno Stato che, ancora una volta, arriva sempre troppo tardi.
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