ESCLUSIVA - Manfredonia. Agguato a Dino Miucci: il perché, la visita, le gole profonde, la mano. La matassa inizia a sbrogliarsi
Se da una parte, come giusto che sia, si sta indagando per dare un nome alla mano, o mani, di chi voleva morto Dino Miucci (all’anagrafe Leonardo), dall’altra il movente pare essere più chiaro. Lo è anche per gli inquirenti, a dir il vero, che attendono conferme. In queste ore, e nelle successive, le indagini proseguono a tambur battente, con intercettazioni e gole profonde sguinzagliate in ogni dove, scavando a fondo nella vita del Miucci che, da quello finora conosciuto, non ha avuto una principale e continua funzione nelle attività del fratello, U’ Criatur, al secolo Enzo Miucci, attuale reggente del “clan dei montanari” dei Li Bergolis-Miucci, ora in carcere a Foggia dopo gli arresti svolti durante il recente blitz Friends. Una vita, quella di Dino Miucci apparentemente tranquilla me che dalle ultime intercettazioni emergono dati a dir poco unici.
Le fonti dei NOC, come è sempre accaduto, hanno fatto centro, come sarà questa volta. Andiamo per odine, perché la matassa è ingarbugliata ma districabile a step.
Dino Miucci è sempre stata una persona dedita al suo lavoro, fuori da molti schemi criminali. È quello che si pensava. Non è incensurato poiché più di 20 anni fa, nel 1997, fu arrestato per rapina e ricettazione, beccato con una pistola e incriminato anche per “porto abusivo e detenzione di armi da fuoco”. È ciò che sanno gli inquirenti. Dati che in un certo qual modo aggrovigliano i fili investigativi, pur sapendo che la faida colpisce anche persone vicine e non in “affari”, come lo è il figlio di Enzo che è minorenne perciò fuori da schemi vendicativi, tenendo fede ai “valori” criminali che finora ha contraddistinto i clan garganici. Un figlio che, però, conosce bene l’attività del padre. Nell’articolata indagine Friends, il minorenne dagli inquirenti è stato descritto come “un ragazzino ben indottrinato” perché immortalato in un video di un’intercettazione mentre manometteva, su disposizione del padre, una telecamera occultata nelle vicinanze dell’abitazione di famiglia.
Tutte ipotesi al vaglio degli investigatori, che non tralasciano nulla, sapendo che Dino, pur apparentemente essendo fuori da molti schemi mafiosi, è presente nelle pagine della relazione per lo scioglimento del comune di Manfredonia per infiltrazioni mafiose e perfino nelle intercettazioni della mattanza di San Marco in Lamis. Apparentemente, appunto, giacché da intercettazioni e gole profonde emergono fatti che pian piano stanno riavvolgendo quella matassa predetta. Le carceri sono sempre state, e continueranno a essere, fonte di informazioni. Come lo sono le gole profonde, anche interne ai clan, che non legate da fratellanze e cuginanze si “aprono” alle Forze dell’ordine. Questi due eventi stanno portando gli inquirenti a conoscenza di nuove e sconvolgenti retroscena che potrebbero far luce sia sull’agguato a Dino Miucci, sia ai nuovi assetti criminali che stanno rimodellando la mafia garganica, che collocherebbe Dino Miucci tra le persone in avanzamento di grado e perciò temute.
L’agguato che Dino Miucci ha subito nel tardo pomeriggio del 29 novembre scorso non ha convinto gli inquirenti. Ai Carabinieri, cui è stato affidato il caso, non sono chiare alcune dinamiche. L’evidenza palesa che il fratello del reggente del clan dei montanari doveva essere ucciso. Tesi avvalorata anche da alcune azioni svolte dallo stesso obiettivo. Difatti Dino Miucci il giorno seguente l’omicidio di Pasquale Ricucci, ammazzato con fucilate calibro 12 davanti la sua abitazione in zona Macchia-Monte Sant’Angelo l’11 novembre scorso, sarebbe stato visto in compagnia di altre persone recarsi a Macchia per avvisare il clan rivale che “loro” non c’entravano nulla con questo assassinio. Una visita per scongiurare scie di sangue tra faide storicamente belligeranti, come quasi sempre accade, non ha avuto esiti positivi. Un rischio, mal calcolato quello di Dino Miucci, per evitare di finire nel mirino dei sicari del clan antagonista, sapendo di essere la persona più vicina a U’ Criatur, per ora non raggiungibile. Un comportamento che, anche dopo alcune rivelazioni frutto di intercettazioni e gole profonde, disegna Dino Miucci come spavaldo, persona temuta, arrogantemente padrona di ciò che fa, insomma come un “capo”.
L’assassinio di “Fic Secc”, al secolo Pasquale Ricucci, reggente dell’omonimo clan e figura apicale di quello Lombardi-Ricucci-La Torre, erede del clan Romito sfaldato dopo la mattanza del 9 agosto 2017 avvenuta a San Marco in Lamis, è da connaturarsi nella continuità della ripresa delle ataviche faide garganiche per il controllo criminale del territorio, ricominciata, appunto, dopo quel terribile giorno di agosto. Ma anche per zittire chi poteva fornire elementi alla giustizia come, appunto, fanno le gole profonde per evitare condanne, ergastoli e 41bis. Eliminare un boss, il Ricucci, vuol dire recidere una parte importante di un clan, che nel caso stava riprendendo potere dopo quello pluri-regnante dei Romito (alleati con la batteria Moretti-Pellegrino-Lanza della “società” foggiana, a sua volta sodale da poco tempo con la terza batteria della “società” la Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese, un tempo Trisciuoglio-Mansueto-Tolonese, dopo l’omicidio e uscita di scena di Lilino Mansueto freddato il 24 giugno 2011). E una risposta dei Li Bergolis-Miucci (alleati storicamente alla batteria Sinesi-Francavilla della “società” foggiana) era d’obbligo, come l’ultima verso il quarentenne Dino. Una sentenza scritta nell’assioma mafioso, che il Ricucci sapeva e attendeva. Fonti affermano che Pasquale Ricucci nei giorni antecedenti al suo assassinio passeggiava solo per Macchia. Come fece la mattina cui è stato freddato. E proprio quella mattina chi lo incontrava si poneva quella stessa domanda. “…Purtroppo qui non c’è più nessuno…” la risposta che Ricucci avrebbe fornito a chi gli ricordava che era solo per Macchia. Era solo sapendo di esserlo, non solo tra le vie nei pressi della sua abitazione, anche in ciò che da qualche tempo faceva, segno che qualcosa sarebbe accaduto. Nessuno gli voleva stare più accanto per non essere attinto da proiettili mortali. Una scelta plausibile di chi sapeva che prima o poi chi “se la canta” avrebbe pagato con la vita. E se qualcuno era in sua compagnia avrebbe fatto la stessa fine.
Le perplessità investigative, ciononostante, sono legate alla dinamica dell’agguato. Il ritrovamento in terra di sei bossoli calibro 7.65 non è un usuale “rituale” omicida dei clan locali. Per uccidere, e si sa, si utilizzano armi pesanti, dal calibro 9 o 12, per lasciare il micidiale segno e un messaggio preciso. Uscire illeso da una condanna a morte in una faida è dir poco un miracolo. Pertanto e quasi sicuramente, chi ha sparato era inesperto, forse qualcuno di Manfredonia assoldato frettolosamente, non il solito killer, a volte locale, a volte mercenario di altri clan mafiosi fuori regione. Meno credibile sarebbe l’ipotesi della destrezza del Miucci nello schivare i bossoli, che poi son solo scene da film. Tuttavia, e per fortuna per una vita umana salvata, un proiettile ha lambito Dino Miucci, precisamente sfiorando la parte superiore della spalla, in gergo l’ha preso di striscio.
Le fonti dicono, ma era noto a tutti perciò non è novità, che Dino Miucci era solito frequentare Macchia a mare, area marina del luogo, ritrovo, attuale, di esponenti dei vari clan che gravitano l’area sipontina e montanara, anche rivali. Un aspetto della quotidianità del quarantenne che è anche al vaglio degli inquirenti, per ovvie ragioni di probabile conoscenza di fatti e affari criminali, anche dopo le ultime rivelazioni sulla sua figura in ascesa, che potrebbero far luce su tante azioni e omicidi di faide e tra clan. Una fra tutte il quadruplo omicidio del 9 agosto 2017 in agro di San Marco in Lamis. Come lo è il sostare, come sempre, presso la ex Monteshell lungo la SS89, nella zona industriale di Manfredonia, luogo dell’attentato, che pare esser stato l’ennesimo atto di forza per dimostrare o superiorità o estraneità. Forse era sicuro che la visita a Macchia, dopo l’omicidio Ricucci, fosse andata a buon fine, sicuro della fratellanza, forte e apicale a un clan temutissimo? O forte della sua figura temuta perché considerato un capo in salita? Particolari che pongono domande su come Dino Miucci, sapendo di essere quasi sicuramente nel mirino vendicativo degli antagonisti, non abbia preso precauzioni per sfuggire ad agguati. Prudenze, tra l’altro, ancora non intraprese, apparentemente, poiché Dino Miucci in questi giorni cammina liberamente tra Manfredonia e Macchia. Sicuramente è sorvegliato a distanza da sue guardie del corpo, e anche da investigatori naturalmente. E chi lo vorrebbe nuovamente colpire si guarda bene da come e quando farlo, perché i clan, delle faide particolarmente, non dimenticano.
Un dato è certo: si è riaccesa l’atavica faida tra montanari e garganici, che sembrava esser scemata e che invece ha ripreso corpo e purtroppo sangue. Una contesa del territorio che attende disgraziatamente libertà carcerarie eccellenti che hanno promesso vendetta. Il “vecchio clan dei montanari” è tra questi.
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