Morte di un giornale a Hong Kong: l'Apply Daily - NOC Press

Morte di un giornale a Hong Kong: l'Apply Daily

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Si avvicina la fine per l’Apple Daily, lo storico tabloid in cinese di Hong Kong, in edicola ormai da 26 anni. Il giornale fondato dal miliardario Jimmy Lai (in carcere da tempo) ha reso noto – per voce dei pochi rappresentanti del management che non siano ancora finiti in galera – che se i suoi avvocati non riusciranno ad ottenere il dissequestro del controvalore di oltre due milioni di euro – congelati dal governo dell’ex colonia per i reati di “collusione con forze straniere” e “sovversione”, imputati al proprietario, ai dirigenti ed a molti giornalisti arrestati qualche giorno fa – la testata non sarà più finanziariamente in grado pagare stipendi e costi di stampa. Se il tribunale - come è già certo - respingerà tale richiesta, il personale pubblicherà le storie finali online poco prima di mezzanotte di domani, giovedì 24 giugno 2021, e sarà la fine. Non resterà che chiudere.

Una vicenda tristissima per la città di Hong Kong e per la tutela della libertà di stampa nel Mondo intero, che vede soggiacere alla forza repressiva di Pechino una voce importante della libertà di espressione in Asia. Nei giorni scorsi un gigantesco e sconcertante blitz delle forze speciali di polizia a Hong Kong, ha coinvolto oltre 500 agenti in un raid nella sede del giornale, che ha portato all’arresto di 5 giornalisti, al sequestro di server e computer – anche quelli personali – dei redattori e, appunto, al congelamento dei fondi della Società editrice, la NextDigital. Tutto “legale” – secondo le autorità di Hong Kong – ai sensi della legge liberticida imposta da Pechino sull’ex colonia britannica, dopo le proteste oceaniche pro-democrazia dell’estate 2019.

Ieri, la già contestatissima – ai tempi delle proteste – governatrice, Carrie Lam, ha anche ironizzato sulla condanna di quanto sta succedendo arrivata puntuale e sdegnata da parte delle Federazione Internazionale della Stampa, degli Usa, dell’Unione Europea e un po’ da tutto il Mondo occidentale. “Le critiche che arrivano dall’estero”, ha detto, “sottovalutano l’importanza della violazione della legge sulla sicurezza nazionale e cercano di ‘abbellire’, dipingendoli sotto la luce della pretesa democrazia, questi che sono soltanto atti che mettono in pericolo la sicurezza nazionale, e che, a quanto pare, invece i governi stranieri hanno preso così tanto a cuore ”, ha detto.

La Lam ha difeso poi la decisione dell’Ufficio per la “sicurezza nazionale” e del Dipartimento di giustizia di Hong Kong di perseguire i rappresentanti dell’Apple Daily, aggiungendo che uno degli obiettivi dell’attuazione della legge era proprio la deterrenza. “C’è una legge [di sicurezza nazionale] ora e il governo e le nostre forze dell’ordine devono usarla, mentre qualsiasi violazione deve essere indagata. La legge non esiste solo di nome. La nostra unità di sicurezza nazionale ha raccolto prove sufficienti per ogni operazione e ho fiducia in loro”, ha aggiunto. “Il caso non dovrebbe essere [equiparato] alla soppressione della libertà di stampa” ha insistito la governatrice, “solo perché sono state coinvolte un’organizzazione di notizie e persone del settore. Le persone non dovrebbero violare la legge con il pretesto di questa copertura protettiva”. Non contenta, poi, di avere definito un giornale “una copertura protettiva”, Carrie Lam è andata anche più in là, lanciandosi in un’apologia – in pratica – dell’obbligo dell’auto-censura da parte della stampa: “i media dovrebbero essere in grado di distinguere tra un notiziario critico nei confronti delle politiche del governo da quelli organizzati intenzionalmente per sovvertire il governo della città” ha concluso, serissima.

Con il primo anniversario della ormai famigerata legge sulla sicurezza nazionale che si avvicina mercoledì prossimo, 30 giugno (ironicamente, o forse, significativamente, giusto il giorno precedente all’anniversario per i cento anni della fondazione del Partito Comunista Cinese… e si sa quanto i cinesi diano importanza ai numeri…), Lam ha affermato che la sua amministrazione continuerà a lavorare per allineare anche la legislazione locale alla direttiva voluta da Pechino. L’articolo 23 della Legge fondamentale, la mini-costituzione di Hong Kong, stabilisce infatti che il governo della Città deve emanare una propria legislazione per vietare sette atti, tra cui tradimento, secessione, sedizione, sovversione, furto di segreti di stato, attività politiche condotte da organizzazioni straniere sul territorio e la formazione di legami tra locali e gruppi politici esteri. Ma è improbabile che il governo di Hong Kong faccia in tempo a varare questa legislazione liberticida entro la fine del mandato dell’attuale governatrice, il prossimo 20 giugno 2022.

E pensare che l’Apple Daily era nato, nel 1995 – solo due anni prima del ritorno di Hong Kong sotto la sovranità della Cina popolare – per occuparsi di “sesso e gossip”, e venne lanciato dall’allora giovane Jimmy Lai con una singolare campagna promozionale: offrendo ai nuovi lettori, in tutti gli store Seven-Eleven di Hong Kong e Macao… una mela gratis, insieme al giornale!

Per questo, ma non solo per questo, Lai venne “chiamato in molti modi, nessuno educato”, come scrisse lo storico rivale in lingua inglese, il South China Morning Post, il 13 aprile 1995, in occasione appunto della nascita della testata, in un editoriale mai dimenticato nella storia della stampa - una volta libera e indipendente – di Hong Kong.

E tra i tanti modi in cui il giovane Lai – imprenditore di successo, ma anche già molto “chiacchierato” per la spregiudicatezza delle sue strategie che lo avevano portato a sedere in cima a un impero dell’abbigliamento, formato dalla catena di negozi “Giordano” – venne chiamato allora, il principale fu …. “pazzo da legare”. Sì, perché non vi era chi non vedesse quanto fosse folle investire buona parte della sua fortuna dell’epoca in un’impresa ad altissimo rischio come un nuovo giornale, solo due anni prima di quel fatidico primo luglio del 1997, quando Hong Kong sarebbe tornata sotto la Cina e – tutti temevano e purtroppo la storia recente lo ha confermato – sarebbe andata incontro a un salto nel buio.

A Lai venne dato del matto anche perché assunse come giornalisti nel suo nuovo giornale parecchi ragazzi che, fino al giorno prima .,. consegnavano pizze a domicilio. “Riteniamo che ora, con il peggioramento degli ingorghi a Hong Kong, i ragazzi che consegnano la pizza sappiano come arrivare dove c’è la notizia, più velocemente di tanti altri”, rispose Lai, senza battere ciglio.

Il nuovo quotidiano in lingua cinese non ebbe vita facile, fin dai primi momenti della sua storia. “Le celebrità boicotteranno l’Apple Daily prima ancora di iniziare, perché farà indagini impietose nel mondo del jet-set nello stile tabloid britannici” pensarono e scrissero in molti, “pedineranno in giro le celebrità”  e “con Hong Kong che si avvicina alla data fatidica del ritorno alla Cina, la gente ha altre da pensare, che ai pettegolezzi”. Si sbagliavano, come il lancio del giornale dimostrò quando, con il suo primo numero, fece il tutto esaurito: di copie e di mele.

Negli anni poi, Lai – che non ha mai nascosto la sua scarsa simpatia per il Partito Comunista Cinese – lo aveva trasformato da un giornale solo “sesso e pettegolezzi” a una vera e proprio spina nel fianco (in inglese, il termine più appropriato che circolava a Hong Kong era “pain in the ass”, che non è necessario qui tradurre…) per i governanti di Pechino e per lo stesso PCC.

In Cina hanno la memoria lunga, lo si sa, è il potentissimo Partito Comunista, al potere ormai da oltre 70 anni, con i nemici, è un po’ come la mafia: non dimentica. Per Jimmy lai e il suo impero mediatico è arrivata la resa dei conti. Sono trascorsi 26 anni, lunghi anni, a da quel fatidico 13 aprile, ma a Pechino non si sono mai “dimenticati” di lui…..

E chissà se adesso, nella sua cella, sorride pensando a quella mela, che un quarto di secolo fa voleva solo essere un bizzarro espediente di marketing e che ormai – forse nemmeno del tutto consapevolmente – è diventata il simbolo del funerale della democrazia e dei diritti, a Hong Kong.

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