Afghanistan: cronaca di una …sconfitta … annunciata. Ma chi sono i talebani?
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Civili afgani respinti a Chaman, al confine tra Afghanistan e Pakistan, il 16 agosto 2021. (Afp) |
Dopo vent’anni di occupazione occidentale, i Talebani hanno ripreso il potere in Afghanistan, raggiungendo anche la capitale Kabul ben prima dei novanta giorni previsti dagli Stati Uniti, che evidentemente hanno sbagliato ben più di questa previsione.
Come vent’anni fa, come prima di quell’intervento degli Stati Uniti, a seguito degli attacchi dell’11 settembre, che sollevò il regime teocratico imposto dagli “studenti di Dio”.
Nelle ultime ore in seguito alla presa di Kabul, la capitale dell’Afghanistan, da parte dei talebani, i paesi occidentali stanno cercando di evacuare il proprio personale diplomatico e i civili ancora nel paese, dato che non possono più garantire la loro sicurezza. Fra questi paesi c’è anche l’Italia.
"I talebani ce l'hanno fatta a rimuovermi... Per evitare un bagno di sangue ho pensato che fosse meglio andare via". Lo scrive in un post su Facebook l'ex presidente' afghano Ashraf Ghani, che ha lasciato Kabul.
Ma chi sono i Talebani?
Talebano in lingua pashtun – la seconda più parlata in Afghanistan dopo il dari – vuol dire “studente”. Studente del corano. E indica un gruppo di fondamentalisti islamici che si sono formati nelle scuole coraniche tra Afghanistan e Pakistan, le cosiddette madrasse.
Qui sono stati indottrinati in modo fondamentalista, diventando un vero e proprio gruppo islamico estremista impegnato nella guerriglia contro le truppe sovietiche in Afghanistan tra il 1979 e il 1989.
La nascita del movimento di etnia prevalentemente pashtun risale al 1994, nella città di Kandahar, dal mullah Mohammed Omar.
Le divisioni tra i mujaheddin favorirono l’ascesa rapida del gruppo. Gruppo che si armò subito e che conquistò la città di Kandahar e Kabul. Anche l’appoggio della popolazione favorì la loro ascesa e questo perché il gruppo – in un Paese nel caos, spezzato tra etnie e clan – aveva cercato provato una forma di welfare: riorganizzazione della società, miglioramento della viabilità, stimoli all’economia.
L’Afghanistan era un Paese ancora in ginocchio da quell’invasione del 1979 da parte dell’Unione Sovietica che rappresentò un pantano per la stessa Armata Rossa. Lo stesso Mullah Omar aveva combattuto con i guerriglieri di ispirazione islamica, i mujaheddin, contro i sovietici.
Dopo la conquista di Kabul i talebani istituirono l’Emirato Islamico dell’Afghanistan, senza un capo politico vero e proprio ma con sotto la leadership del Mullah Omar. Il 90% del Paese venne conquistato nel giro di due anni. A riconoscere l’Emirato soltanto gli Emirati Arabi Uniti, il Pakistan e l’Arabia Saudita.
Quella dei talebani era una teocrazia autoritaria: venne imposta la sharia, la legge islamica, nella sua forma più rigida, con punizioni ed esecuzioni pubbliche; gli uomini avevano l’obbligo di farsi crescere la barba, le donne di indossare il burqa; la televisione, la musica e il cinema vennero vietate; alle donne fu vietata la guida di bici, moto, auto e l’uso di cosmetici e gioielli. I Buddha di Bamiyan, enormi statue nella roccia a circa 250 chilometri da Kabul, vennero distrutti nel marzo del 2001 perché raffigurazioni contrarie alla legge islamica.
Il loro regime venne rovesciato con l’intervento della Nato del 2001 in seguito agli attacchi dell’11 settembre alle torri gemelle di New York. I Talebani, infatti, avevano legami con Al Qaeda e Osama bin Laden, ricco yemenita che aveva fondato l’organizzazione terroristica madre di tanti attacchi agli Stati Uniti e ai Paesi europei.
Meno di due mesi dopo di quell'11 settembre il regime talebano veniva rimosso con l’operazione Enduring Freedom. Molti talebani fuggirono in Pakistan dove si riorganizzarono grazie soprattutto alla connivenza con i servizi segreti di Islamabad.
Il Mullah Omar è morto nel 2013, il Consiglio Supremo dei talebani è diventato la Shura di Quetta, le vittime dell’organizzazione rimpiazzati costantemente con nuove reclute. Da anni avevano ripreso il controllo di alcune zone e messo in atto attacchi terroristici. Non sono mai stati sconfitti del tutto. A febbraio 2020 hanno firmato un accordo di pace con gli Stati Uniti, a Doha, capitale del Qatar, che prevedeva il ritiro graduale di circa 13mila soldati in Afghanistan e la liberazione di circa cinquemila prigionieri. Il gruppo aveva promesso di diminuire il numero di attacchi e di non rendere di nuovo il Paese una base e un porto sicuro per i jihadisti.
Il Presidente americano Joe Biden, entrato in carica a gennaio 2021, ha confermato il ritiro statunitense. “Adesso tocca agli afghani combattere per l’Afghanistan”, ha detto solo qualche giorno fa. La debolezza del governo afghano e dell’esercito hanno permesso ai talebani di avanzare senza intoppi e senza resistenze. La caduta di Kabul era stata calcolata in sei, poi in tre mesi, e invece la città è stata presa dopo pochi giorni. I talebani avevano ricominciato a guadagnare terreno nel 2015.
Chi sono i talebani oggi
Domenico Quirico, storico inviato di guerra de La Stampa, ha scritto un articolo sugli “studenti di Dio che hanno sconfitto l’Occidente”; una lunga e appassionata riflessione sui talebani e su quello che sta succedendo in questi giorni in Afghanistan: “Trent’anni dopo sono mutati i capi e i guerriglieri. I capi trattano alla pari con i dirigenti cinesi, ormai più dell’oppio i loro maggiori finanziatori. Pechino ha progetti ambiziosi su questa parte della Via della Seta ora che gli americani sono fuggiti. I combattenti sono reclutati nelle zone marginali del Paese, le più povere e dimenticate da un potere centrale che non ha mai usato i dollari americani per ricostruire uno Stato. Venti anni di occupazione americana, invece di ridurre le distanze sociali tra i clan dei ricchi manipolano i prezzi e le classi povere, le hanno moltiplicate. I nuovi talebani non sono più in maggioranza studenti arrabbiati che non riescono a diventare ulema, ma i senza lavoro, giovani che inseguono una avventura, o la vendetta, inselvaggiti dagli innumerevoli danni collaterali delle nostre indifferenti guerre per la democrazia. Arruolati sfruttando le solidarietà claniche e famigliari, i legami sociali”.
Chi è l’attuale capo dei Talebani
Oggi il capo dei Talebani si chiama Abdul Ghani Baradar. Anche lui ha combattuto contro le truppe sovietiche negli anni Ottanta. Dopo l’invasione ha istituito una madrassa a Kandahar con il suo ex comandante Mohammad Omar. E insieme a lui ha fondato il movimento dei Talebani.
Andato in esilio in Pakistan, Baradar diventa esponente di spicco del governo taliban in esilio, finché viene rintracciato dalla Cia e arrestato dal Pakistan nel 2010. Viene rilasciato nel 2018, grazie all’amministrazione Trump, per condurre i negoziati a Doha, in Qatar.
E qui, nel febbraio 2020 Baradar ha firmato l’accordo di Doha con gli Stati Uniti. Accordo che, a dispetto delle attese, ha segnato il ritorno dei Talebani al governo dell’Afghanistan.
Gli americani avevano giurato di “esportare democrazia” e diritti, come sempre, ma si sono dimenticati di costruire uno Stato. E così, è bastata meno di una settimana di avanzata talebana per cancellare vent’anni di vere o presunte missioni di pace e cooperazione internazionale.
Dietro di sé, accanto alle macerie di una guerra infinita, hanno lasciato al proprio destino milioni di donne afghane, le vere vittime dell’intera vicenda, che da domani si ritroveranno imprigionate in un burka che non conoscono e non riconoscono. Loro, le ventenni di oggi, le laureate di domani, appena nate quando nel 2001 il regime talebano indietreggiava fin quasi a scomparire dalle città e dalla capitale Kabul. Loro che si erano faticosamente riprese spazi che decenni di regime talebano aveva cancellato, riconquistando la parità tra sessi in Costituzione (2004), una legge nazionale contro la violenza di genere (2008), l’abolizione del delitto d’onore. Loro che, almeno nelle grandi città come Kabul ed Herat, si erano conquistate la libertà di indossare abiti occidentali o il semplice velo, frequentare l’università, accedere ai più alti livelli di istruzione e professionali, candidarsi ed entrare in Parlamento.
Tutte cose che qui da noi consideriamo più o meno scontate e che in Afghanistan sono state il simbolo di una nuova primavera femminista. E che, da domani, rischiano di essere azzerate dalla sera alla mattina.
Mentre avanzano, i talebani entrano casa per casa portando via tutte le donne sopra i 12 anni, considerate “bottino di guerra”. Stilano liste delle donne single da dare in moglie ai combattenti. I ritratti delle donne hanno incominciato a sparire dai muri e dai cartelloni delle città perché considerati “scandalosi”. Decine di migliaia di studentesse rischiano di dover abbandonare l’università e, con essa, ogni speranza di carriera, cultura ed emancipazione, e lo stesso le donne mediche e infermiere negli ospedali di Emergency e delle ong straniere.
Quando parliamo di Afghanistan non parliamo genericamente di missioni, fallimenti, crisi geopolitiche o scacchieri internazionali.
Parliamo delle vite, dei corpi, della storia di questo esercito silenzioso e non armato di donne, di giovani e meno giovani che si ritrovano a dover scappare di notte dalla propria casa, con mezzi di fortuna, a rischio della propria vita, solo per poter avere la libertà di essere quello che sentono o decidono di essere.
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