Incursione record nello spazio aereo di Taiwan di 38 caccia cinesi. - NOC Press

Incursione record nello spazio aereo di Taiwan di 38 caccia cinesi.


Ansa




Venerdì 1° ottobre il ministero della Difesa di Taiwan ha detto che 38 aerei dell’aeronautica cinese sono entrati nella zona di identificazione per la difesa aerea (ADIZ) del paese, cioè nello spazio aereo controllato da Taiwan, il cui accesso è regolamentato e monitorato per ragioni di sicurezza nazionale: lo sconfinamento è avvenuto in due incursioni successive (la prima con 25 aerei e la seconda con 13 aerei), in occasione della Giornata Nazionale della Repubblica Popolare Cinese, che commemora il giorno in cui nel 1949 fu fondato l’attuale stato cinese.

Taipei ha subito fatto levare in volo alcuni dei suoi caccia e allertato i sistemi di difesa antimissile. "La Cina ha un atteggiamento bellicoso e dannoso per la pace regionale e compie atti di bullismo", ha dichiarato il premier taiwanese, Su Tseng-chang, in una conferenza stampa, mentre Pechino, in piena celebrazione dei 72 anni dalla fondazione della Repubblica popolare cinese, rimaneva avvolta dal silenzio più totale.

"E' evidente che il mondo, la comunità internazionale, respinge con forza un simile comportamento da parte della Cina", ha aggiunto il capo del governo dell'isola, che Pechino considera semplicemente come una provincia cinese ribelle ed è pronta a riunificarla a sé anche con l'uso della forza, se necessario.

Dalla salita al potere della presidente Tsai Ing-wen, la Cina ha intensificato la pressione militare e politica su Taipei, che, al contrario, ha rafforzato la sua convinzione di essere un Paese indipendente, libero e democratico.

Pechino non è nuova a simili spedizioni, realizzate per “proteggere la sua sovranità” e contrastare la “collusione” tra Taiwan e gli Stati Uniti.

Poi la richiesta di Taiwan di entrare nel CpTpp, l’accordo di libero scambio transpacifico, a distanza di nemmeno una settimana dall’identica mossa di Pechino, ha innalzato inevitabilmente il livello delle frizioni sullo Stretto e probabilmente è stata la miccia che ha determinato l'incursione.

Pechino non riconosce la sovranità di Taipei e quindi qualsiasi adesione a organismi internazionali è una provocazione. Come l’adesione di Taiwan al Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (Cptpp), a una settimana dalla lettera inviata dalla Cina, peraltro nel pieno della crisi dell’accordo dei sottomarini Aukus.

La mossa ha irritato profondamente i cinesi. Il CpTpp è il patto commerciale siglato nel 2018 da Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam, nato sulle ceneri del Trans-Pacific Partnership (Tpp) voluto da Barack Obama, ma disertato clamorosamente dal successore, Donald Trump.

Il ministro del Commercio cinese Wang Wentao in carica dall'inizio del 2021, ha sottoposto la lettera scritta al collega neozelandese Damien O'Connor, depositario legale dell'accordo di libero scambio, avviando così la procedura ufficiale, sull'esempio dell'ultima arrivata in coda, la Gran Bretagna. Qualche giorno dopo Taiwan ha fatto altrettanto. Per Pechino Taiwan politicamente non esiste, nè giuridicamente. Accettare la lettera di adesione è stato considerato un fatto gravissimo.

Davanti a queste continue pressioni Taiwan cerca l’appoggio di Washington,  e gli Usa devono decidere se attuare fino in fondo un'altra eredità dell'era di Donald Trump, il Taipei Act (Taiwan Allies International Protection and Enhancement Initiative Act), diventato legge nel marzo 2020 con il voto bipartisan degli schieramenti.

Lì si scrive a chiare lettere che gli Stati Uniti interverranno «contro chi compromette sicurezza e prosperità di Taiwan» e che gli Usa sosterranno «il crescente ruolo nell'area dell'Asia-pacifico».

Sosterranno anche l’adesione a organismi internazionali e quindi eventualmente al CpTpp, anche se gli Usa al momento non ci sono (e nemmeno nel Rcep, l’accordo alternativo che copre 17 Paesi asiatici). Un bel problema.

La presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, in carica da un quinquennio, chiede ripetutamente l’appoggio degli alleati americani, gli Usa l'hanno rassicurata, il loro supporto non verrà meno, ma i 750 milioni di dollari di armi Made in Usa e gli spiragli al riconoscimento diplomatico della “provincia ribelle” che Pechino vuol riportare all'ovile, come si può ben notare, non scacciano lo spauracchio dell'invasione militare cinese.

Mentre il fronte europeo pro-Taiwan aumenta le pressioni c'è da chiedersi, a questo punto, se a prevalere sarà la pace o la guerra.


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