Il doppiopesismo della morte in divisa. Siamo all’assurdo ricordando Luca di Pietra
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La "gazzella" dove morì Luca Di Pietra (foto ©Gatti-IlPiacenza) |
Dieci anni e nessuno, a parte qualche giornale locale, ricorda la tragica fine di un carabiniere.
Le cronache raccontano, a volte narrano anche enfaticamente, delitti e sparatorie, stupri, rapine, aggressioni e suicidi, morti sulle strade, privilegiando la narrativa del fatto specie se il protagonista ha problemi sociali. Tutto rilevante, ovviamente, perché chi subisce torti ha il diritto di essere nel focus mediatico per sollecitare chi dovrebbe intervenire a sua difesa.
Ma qui pare che la morte di un carabiniere -e poteva essere un altro agente di polizia- nell’adempimento del suo dovere, che è il suo lavoro, sia quell’ordinario fatto che bastano due righe per informare dell’accaduto.
Due pesi, due misure, un doppiopesismo quando si deve raccontare della morte di una persona in divisa, spesso messa alla gogna e con decine di pagine di cronaca quando si preferisce farla diventare procacciatrice del cattivo di turno.
Lui è l’appuntato Luca di Pietra, che il 29 settembre del 2014, a soli 39 anni morì a Piacenza nella sua “gazzella” di servizio, una Fiat Bravo, durante un inseguimento, lasciando moglie e due figlie. Da allora, se n'è parlato solo nel suo paese natio e il quello della tragedia, nessun altro lo ha ricordato, o meglio ha posto in evidenza la tragica fine, quelle che oggigiorno avvengono quotidianamente sulle strade italiane e tutti i media raccontano. Purtroppo il luogo comune dice che è morto nell’adempimento del suo dovere, che è il suo lavoro. Che vuol dire. E allora le morti bianche sui cantieri sono più importanti di quelle di un carabiniere che per difendere, rispettare e far rispettare le leggi italiane ci rimette la vita?
IL FATTO. Quella mattina, quel tragico 29 settembre 2014, l’aliquota radiomobile del NORM, la “gazzella” appunto, stava svolgendo un servizio di perlustrazione nella zona industriale di Castel San Giovanni. Un’auto sospetta, un’Audi, alla vista dei militari accelera. L’appuntato con il suo collega partono all’inseguimento intimando l’ALT. Il fato è stato avverso. L’auto dei carabinieri si scontra frontalmente contro un Tir posteggiato contromano dopo una curva. Luca di Pietra muore sul colpo, il collega, l’appuntato scelto Massimo Banci, 46enne di San Giorgio, rimane ferito gravemente, poi sopravvissuto. La “gazzella” era irriconoscibile, distrutta, incastrata sotto il Tir; solo con l’intervento dei Vigili del Fuoco si è riusciti a estrarre auto e corpi.
Dieci anni e nessuno fino ad ora ha fatto nulla in sua memoria e sul piano legislativo, tra governi di colori e casacche diverse che parlano ma nella sostanza rimangono inermi sulle leggi che, purtroppo, in Italia in nome di una democrazia, politicamente diventata interpretativa, difendono maggiormente i diritti di chi offende piuttosto dell’offeso. La Costituzione Italiana è chiara: si è innocenti fino a prova contraria, norma pilastro su cui si basa il principio di presunzione di innocenza, scolpita marmoreamente a chiare lettere. E su questo non si discute.
Ma chi difende l’offeso se si difende? Solitamente è solo, affrontando processi lunghi e costosi, paga di tasca sua. Come il caso di qualche anno fa del poliziotto di Brindisi che, durante un inseguimento a piedi, spara il rapinatore, armato, e lo uccide, finendo dapprima sospeso (come da procedura, fu detto) e poi sotto processo e pagandosi l’avvocato e le perizie balistiche. Accadde il finimondo. Siamo nell’assurdo di un codice legislativo che andrebbe rivisto, che dovrebbe innanzitutto provvedere alle spese processuali di un poliziotto (e non sperare, spesso far leva, in una coletta tra colleghi), di qualsiasi istituzione che lo riconosce come Pubblico Ufficiale e Giudiziario, poi riconoscere sopra ogni dettaglio la legittima difesa, mai accostarla a quella eccessiva, perché in quel momento stava applicando un Codice, una Legge, una Procedura in difesa di esse e dei cittadini.
Se muoiono i criminali è cronaca, se muore un servitore dello Stato è silenzio. E come sempre si preferisce, come sempre, dargli addosso all’agente di polizia o carabiniere o finanziere che sia, perché fa più scalpore una persona in divisa che difende che un civile che offende, tra l’altro sempre difeso dall’opinione pubblica per mera, nostra conclusione, opportunità mediatica.
a cura dei N.O.C. (Non Official Cover)
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