Trump impone sanzioni alla Corte Penale Internazionale: un nuovo capitolo nella tensione tra Stati Uniti, Israele e giustizia internazionale
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha recentemente annunciato l'imposizione di sanzioni contro la Corte Penale Internazionale (CPI), un atto che ha suscitato un'ondata di reazioni a livello globale. La decisione arriva in seguito al mandato di arresto emesso dalla CPI contro Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, e Yoav Gallant, ex ministro della Difesa, nell'ambito di un'inchiesta sui crimini di guerra. Ma questa mossa non si limita a Israele: tocca anche la questione della giustizia internazionale e le sue implicazioni politiche.
Le reazioni internazionali e il sostegno europeo alla CPI
L’Onu ha espresso un forte disappunto nei confronti delle sanzioni statunitensi. Ravina Shamdasani, portavoce dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha dichiarato di essere “profondamente rammaricata” dalla decisione di Washington. Ha aggiunto che le sanzioni rischiano di minare il lavoro della Corte, il cui obiettivo è perseguire i crimini internazionali e garantire giustizia alle vittime in tutto il mondo. Il messaggio è chiaro: il sistema di giustizia penale internazionale non può essere ostacolato da pressioni politiche.
Anche Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha preso posizione a favore della CPI, definendo l'istituzione una "garante della giustizia" per le vittime di crimini internazionali. L'Europa ha ribadito il suo impegno per il rispetto della legge internazionale, dichiarando che nessuna interferenza politica dovrebbe compromettere l'operato della Corte.
Il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, ha avvertito che le sanzioni americane costituiscono una minaccia per l’indipendenza della CPI. A questo si aggiunge un monito da parte della Commissione Europea, che sottolinea come la decisione degli Stati Uniti possa influenzare le indagini in corso, tra cui quelle relative ai crimini di guerra in Ucraina, mettendo a rischio gli sforzi internazionali per la giustizia.
La motivazione di Trump: difesa di Israele e attacco alla CPI
La decisione di Trump di sanzionare la CPI ha radici profonde nella politica estera statunitense. Il presidente ha giustificato il provvedimento sostenendo che la Corte stava intraprendendo “azioni illegittime e infondate” contro gli Stati Uniti e Israele. Il caso in questione riguarda il mandato di arresto internazionale emesso a novembre per Netanyahu e Gallant, accusati di crimini di guerra legati al conflitto israelo-palestinese. Netanyahu ha immediatamente ringraziato Trump, lodando il suo impegno a difendere Israele dalla CPI, che ha definito "corrotta" e "antisemita".
Tuttavia, va sottolineato che né gli Stati Uniti né Israele sono membri dello Statuto di Roma, il trattato che nel 1998 ha istituito la CPI. Questo significa che la Corte non ha giurisdizione su di loro e, pertanto, non ha alcun obbligo di arrestare i presunti colpevoli, a meno che non si trovino in un Paese che abbia ratificato il trattato. In pratica, ciò implica che Stati Uniti e Israele non sono tenuti ad adempiere a tale mandato.
Le sanzioni americane e il loro impatto sulla giustizia globale
Le nuove sanzioni statunitensi consentono agli USA di bloccare i beni di funzionari della CPI e di impedire loro l’ingresso nel Paese, con effetti che potrebbero estendersi anche ai loro familiari. Questa non è la prima volta che gli Stati Uniti ricorrono a misure simili. Nel 2020, durante il primo mandato di Trump, l’amministrazione aveva imposto restrizioni alla procuratrice della CPI, Fatou Bensouda, e ai suoi collaboratori, dopo che la Corte aveva aperto un’indagine sui crimini di guerra commessi durante il conflitto in Afghanistan. L’atteggiamento di Washington nei confronti della Corte è quindi stato, fin dall’inizio, ostile, specialmente quando le indagini riguardano crimini commessi da Stati Uniti e alleati.
Il ruolo cruciale della Corte Penale Internazionale
La CPI, con sede all’Aja, nei Paesi Bassi, è un'istituzione fondamentale per il mantenimento della giustizia internazionale. Nata ufficialmente nel 1998, la Corte è incaricata di perseguire i crimini di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra. Nonostante sia riconosciuta da 123 Stati, diverse superpotenze, tra cui Stati Uniti, Russia e Cina, non l’hanno mai ratificata. Israele, pur firmando lo Statuto di Roma, non lo ha mai ratificato, e questo le consente di sottrarsi alla giurisdizione della CPI.
La Corte può esercitare la sua giurisdizione solo nei Paesi che hanno aderito al trattato, ma in caso di richiesta, essa può estendersi anche ad altri Stati non firmatari. In quest’ottica, la CPI gioca un ruolo cruciale nella lotta contro l’impunità e nel perseguire crimini che minacciano la pace e la sicurezza globale.
N.d.r.: la tensione tra politica e giustizia
"Le sanzioni imposte dagli Stati Uniti rappresentano un nuovo capitolo in una lunga serie di confronti tra la giustizia internazionale e gli interessi politici. Mentre la CPI continua a operare per garantire la responsabilità per crimini gravi, la politica internazionale, con le sue alleanze e rivalità , rischia di minare il principio di giustizia universale. In un mondo sempre più polarizzato, il rischio è che la giustizia diventi una merce da negoziare, piuttosto che un valore universale da difendere."
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