La Consulta dice no al terzo mandato: una lezione di democrazia sul limite del potere
In un'epoca in cui il potere tende a radicarsi e le leadership sembrano fatte per durare in eterno, la Corte Costituzionale italiana ha tracciato un confine netto: due mandati consecutivi sono il limite per sindaci dei comuni più grandi e per i presidenti di Regione. Nessuna eccezione, nessun escamotage legislativo potrà aggirare questo principio.
La decisione arriva in un momento delicato, mentre da più parti si alzavano voci favorevoli a una maggiore flessibilità , soprattutto nei territori dove un’amministrazione solida e benvoluta avrebbe voluto continuare a governare. Ma la Corte è stata chiara: la democrazia si fonda anche sulla necessità del ricambio, sulla rotazione delle responsabilità , sulla possibilità per i cittadini di vedere alternative concrete alla guida dei territori.
Con due sentenze distinte, la Consulta ha così respinto:
- Il tentativo della Regione Campania, che, con una legge approvata nel novembre 2024, mirava a consentire al presidente Vincenzo De Luca di candidarsi per la terza volta consecutiva. La norma, ritenuta incostituzionale, cercava di "azzerare" i mandati precedenti facendo partire il conteggio solo dal momento della sua entrata in vigore. Un trucco legislativo che, secondo i giudici, viola il principio di uniformità previsto dall’articolo 122 della Costituzione.
- Le obiezioni della Regione Liguria, che contestava la norma statale che fissa il limite di due mandati per i sindaci dei comuni con oltre 15.000 abitanti. Anche in questo caso, la Corte ha ribadito che differenziare in base alla dimensione demografica non è solo legittimo, ma anche ragionevole. In piccoli comuni, la scarsità di candidati può giustificare eccezioni, ma nelle città più grandi il ricambio è un elemento essenziale per la salute democratica.
La posta in gioco non è solo giuridica, ma profondamente politica e culturale. In un sistema dove la personalizzazione della politica è sempre più marcata, stabilire dei limiti chiari è un modo per evitare che il potere diventi un feudo personale. È una questione di equilibrio: tra la continuità amministrativa e la necessità di nuove visioni, tra il diritto a candidarsi e il diritto collettivo al cambiamento.
In definitiva, la Corte ha mandato un messaggio forte e limpido: il potere, anche se efficace e benvoluto, non deve mai diventare eterno. La democrazia non è solo una somma di voti, ma un ecosistema fatto di regole, alternanza e rispetto per i limiti. Anche — e soprattutto — quelli temporali.
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