“Ho imparato a respirare di nuovo”: la seconda vita di Giacomo dopo il tumore
Quando hai tutto sotto controllo, il mondo raramente ti avvisa prima di crollarti addosso.
Giacomo aveva 42 anni, un lavoro da architetto, due figli, e una passione per la corsa mattutina. La sua vita era piena, incasellata tra progetti e sogni ancora da realizzare. Poi, un dolore sordo alla schiena. “Starò esagerando con il lavoro,” pensava. Ma quel dolore non andava via. Una risonanza, una biopsia. Silenzio. Poi la frase che gli ha cambiato la voce per sempre: “Hai un tumore al polmone. Stadio avanzato.”
Non fumava. Non beveva. Correva ogni giorno. “Mi sono sentito tradito dal mio stesso corpo,” racconta oggi. “Come se non mi appartenesse più.” La rabbia è stata la prima reazione. Poi, lentamente, si è fatto spazio il buio. Il vero nemico non era solo la malattia, ma tutto quello che la circondava: la paura negli occhi dei figli, le mezze parole dei medici, il senso di fine che ti stringe lo stomaco anche quando fuori è una giornata bellissima.
La chemioterapia è arrivata come una tempesta. Ha perso peso, capelli, forze. “Mi sembrava di essere diventato trasparente. Le persone mi parlavano con quella voce finta, da circostanza.” Eppure, proprio nel momento più fragile, ha trovato un appiglio. Un quaderno, una penna. Ha iniziato a scrivere. All'inizio solo per sé, poi online, anonimamente. Pensieri, paure, sogni posticipati. E altri malati hanno iniziato a rispondere.
La scrittura è diventata la sua terapia parallela. Un modo per rimanere umano in mezzo a protocolli e aghi.
Dopo mesi di terapie e un intervento rischioso, il tumore è entrato in remissione. Ma non è questa la parte importante. La parte che conta davvero è che Giacomo è tornato a respirare. Non solo fisicamente, ma emotivamente. Ha ricominciato a vivere, ma con uno sguardo diverso. Più lento. Più grato. “Oggi sento l’aria entrare nei polmoni come se fosse un regalo. Ogni giorno è un piccolo atto di resistenza.”
Oggi Giacomo tiene incontri nelle scuole e nei reparti oncologici. Parla della malattia senza toni eroici, ma con lucidità e amore per la verità. Non si definisce un sopravvissuto, ma un uomo che ha imparato a rallentare, ascoltare e restare. Anche quando tutto diceva il contrario.
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