Il caso Pesante-Rotice. Quando la verità disturba: l'ex sindaco querela, ma la giustizia assolve il giornalismo
Nel cuore della Capitanata si accende nuovamente il dibattito sulla libertà di stampa. A riportarlo sotto i riflettori è l’osservatorio “Ossigeno per l’Informazione”, che dedica un nuovo approfondimento alla situazione foggiana, puntando l’obiettivo su un caso emblematico. Stiamo parlando dell’ex sindaco di Manfredonia, Gianni Rotice, che ha cercato di arginare la voce libera della testata l’Immediato, di Foggia attraverso una serie di azioni legali.
Il caso Pesante-Rotice racconta un’Italia in cui fare informazione è ancora un atto di coraggio
In un angolo d’Italia dove la cronaca si intreccia spesso con il potere e le ombre del crimine organizzato, raccontare la verità può costare caro. Lo sa bene Francesco Pesante, direttore del giornale online l’Immediato, finito al centro di un vero e proprio “assedio giudiziario” da parte dell’ex sindaco di Manfredonia, Gianni Rotice. Due le querele per diffamazione intentate contro di lui. Due le sconfitte subite in tribunale da chi quelle querele le ha firmate.
Una vicenda che va ben oltre le aule di giustizia. È un segnale. Un termometro di quanto sia ancora difficile, in alcune aree del Paese, svolgere il mestiere di giornalista con schiena dritta, senza dover ogni volta dimostrare di non essere un nemico pubblico.
La cronaca dei fatti: due procedimenti, zero condanne
Nel primo procedimento, Rotice aveva denunciato Pesante per un articolo in cui si parlava di un presunto narcotrafficante seduto a tavola con alcuni esponenti dell’ex amministrazione comunale. Ma il nome dell’ex sindaco non compariva da nessuna parte. Nonostante ciò, venne avviato un processo, che si è poi concluso prima ancora di cominciare: difetto di querela, hanno stabilito i giudici.
Nel secondo caso, tutto nasce da una foto pubblicata durante un viaggio istituzionale a Bruxelles. Nell’immagine – poi rimossa dai profili social dell’ex sindaco – compariva anche la sua compagna, Libera Scirpoli. Nessun incarico ufficiale per lei, ma una presenza che sollevava dubbi: è la sorella di un noto esponente criminale del Gargano, condannato per mafia. Il giornale aveva posto una domanda semplice e legittima: è opportuno che partecipi a un incontro istituzionale una persona legata – seppur indirettamente – a un contesto criminale, specie in una città sciolta per infiltrazioni mafiose?
Il giudice ha detto no alla condanna: “Il fatto non sussiste”. Non c’era offesa, ma solo esercizio del diritto di cronaca.
La voce del direttore: Francesco Pesante
“Siamo stati sempre convinti che l’esito dei procedimenti sarebbe stato vittorioso – dice il direttore de ‘l’Immediato’ a Ossigeno -, perché ci siamo basati su dati oggettivi come foto e documenti pubblici. Purtroppo non è finita qui, ci aspettano altri due procedimenti promossi dall’ex sindaco e un altro dalla sua compagna Libera Scirpoli, sorella di un boss del Gargano, e un altro ancora da Mary Fabrizio, che faceva parte di quella maggioranza comunale. È un vero e proprio stalking giudiziario. Siamo fiduciosi di spuntarla nuovamente. Speravamo che il lavoro della procura e l’udienza preliminare, archiviando queste querele temerarie, ci avrebbero evitato il dibattimento. Mi dispiace che non sia andata così”.
L’allarme di “Ossigeno per l’Informazione”
A segnalare il caso è stato l’osservatorio Ossigeno per l’Informazione, che da anni monitora le minacce al giornalismo indipendente in Italia. e a ragion dei fatti, quello che accade in Capitanata non può essere ignorato.
Il nostro pensiero – NOCPress
In un Paese dove la verità spesso dà fastidio, continuiamo a credere che fare giornalismo significhi assumersi un rischio consapevole: quello di disturbare il potere, anche quando si nasconde dietro querele “decorose” e "carte bollate".
"Una verità amara del giornalismo italiano contemporaneo, soprattutto in certe aree del Paese: dire la verità, raccontare fatti scomodi, significa spesso esporsi. Significa sapere che qualcuno proverà a zittirti, non sempre con la violenza, ma con strumenti “eleganti” e apparentemente legittimi: le querele pretestuose, le azioni legali temerarie, la pressione giudiziaria, usata non per difendersi da falsità, ma per scoraggiare la libertà di stampa.
Quando si parla di querele “decorose”, si fa riferimento a denunce presentate formalmente nel rispetto delle regole, ma sostanzialmente infondate, usate come strategia per intimidire il giornalista e costringerlo a sprecare tempo, risorse e serenità nel difendersi. Non è difesa della reputazione: è uso distorto della legge per colpire chi fa informazione scomoda.
“Carte bollate” richiama l’apparato burocratico-giudiziario usato come arma impropria, trasformando la giustizia da presidio di libertà in uno strumento di censura silenziosa.
Infine, parlare di “rischio consapevole” significa riconoscere che chi fa informazione oggi – soprattutto locale, investigativa, indipendente – sa di entrare in un campo minato. Ma lo fa comunque, per una scelta etica, professionale, civile".
La vicenda che ha coinvolto il collega Francesco Pesante ci riguarda da vicino. È un esempio concreto di quel che accade a chi non accetta compromessi con l’informazione e sceglie di raccontare i fatti, anche quando scottano. Il giornalismo non può essere condizionato dalla paura di una denuncia, né può essere intimidito da chi usa le aule dei tribunali come arma di repressione silenziosa. No alle querele temerarie che deve essere un tema che la politica deve affrontare a tutela del diritto di informazione e della libertà di stampa; non deve ledere il diritto di cronaca.
A NOCPress siamo dalla parte di chi scrive con coscienza, con rigore, con libertà. E non accetteremo mai che la giustizia venga usata per mettere il bavaglio alle domande giuste.
"La verità non è un crimine. Raccontarla, nemmeno".
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