"Storie di resilienza". La cella non è finita con le sbarre”: la rinascita di Luca dopo il carcere
Per 13 anni, Luca ha contato le albe da dietro una finestra sbarrata. Le stagioni passavano, le persone cambiavano, ma lui restava fermo. “Quando entri in carcere da ragazzo, il tempo ti si pianta dentro. Esci che sei uomo, ma non sai più chi sei.”
Aveva 21 anni quando una rapina finita male lo ha portato dritto in tribunale. Gli amici di sempre, le strade, le scelte sbagliate. “Pensavo di essere furbo. In realtà stavo solo scappando da me stesso.” La condanna è stata dura, come lo sguardo dei genitori quel giorno in aula. Dentro, le giornate erano tutte uguali: sveglia, conta, mensa, cortile. La libertà era diventata un ricordo sfocato.
I primi anni li ha passati a combattere, con gli altri e con se stesso. Poi, un laboratorio di scrittura gli ha messo in mano una penna. “Scrivi chi sei”, gli avevano detto. Ma Luca non lo sapeva più. Ha iniziato così, con poche righe. Una canzone. Un racconto. Un’infanzia. Da lì, il tempo ha iniziato a passare in modo diverso.
Dentro la cella ha imparato a conoscere se stesso. Fuori, ha imparato a essere un altro.
Quando è uscito, a 34 anni, il mondo era cambiato. I genitori erano invecchiati. Gli amici, scomparsi. Il vero carcere, però, è iniziato lì: sguardi sospettosi, porte chiuse, lavori che sparivano appena scoprivano il passato. “La libertà è una parola bella. Ma se non ti lasciano viverla, diventa solo un’altra gabbia.”
Ha dormito in macchina per mesi. Poi, grazie a un’associazione per il reinserimento, ha trovato un lavoro come magazziniere. Umile, duro, ma dignitoso. E ha ricominciato a scrivere. Oggi ha 39 anni, vive in affitto con altri ex detenuti e tiene incontri nelle scuole. “Racconto la mia storia perché nessuno pensa mai al dopo. Ma dopo c’è vita. Difficile, sporca, ma vera.”
Luca non cerca compassione, ma rispetto. Non vuole essere un esempio, ma un promemoria: che si può cadere, anche male, ma si può scegliere di non restare lì.
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