"Storie di resilienza". Silenzio interrotto: La voce ritrovata di Elena
Per anni Elena ha vissuto in una casa dove anche il battito di un cuore sembrava fare troppo rumore. Ogni parola era calibrata, ogni gesto ponderato. Il suo compagno, all’inizio affettuoso, si era trasformato lentamente in un uomo ossessivo, manipolatore, violento. Non lasciava lividi visibili all’inizio, solo parole, occhi puntati e silenzi carichi d’odio. Poi sono arrivati anche i pugni.
Elena aveva 29 anni e una figlia piccola quando ha capito che quella non era più vita, ma sopravvivenza. La vergogna, però, era più forte della paura: "Mi sentivo colpevole. Come se fosse colpa mia non essere riuscita a farmi amare nel modo giusto."
Ci sono voluti sei anni prima che trovasse il coraggio di denunciare. E non è successo per lei, ma per sua figlia, che una sera l’ha guardata e ha detto: “Mamma, non piangere. Quando sarò grande, lo picchio io.”
Quelle parole sono state uno specchio. Elena si è resa conto che il dolore non si stava fermando con lei, ma stava passando alla generazione successiva. Così ha preso la bambina, una borsa e un numero che aveva nascosto da mesi: quello di un centro antiviolenza.
I mesi successivi sono stati i più duri. Viveva in una casa rifugio, senza soldi, con la paura di essere seguita. Non dormiva, aveva incubi, e si sentiva un fallimento. Ma per la prima volta, era libera. “Ero povera, distrutta e con il terrore addosso, ma non più sua.”
Con l’aiuto di psicologhe, operatrici e altre donne sopravvissute, Elena ha ricostruito pezzo per pezzo la sua identità . Ha iniziato a frequentare un corso di formazione e oggi lavora come assistente per minori vittime di abuso. Ha scelto di rimanere in silenzio per troppo tempo — ora parla anche per chi non può.
“Non ho dimenticato niente,” dice. “Ma ora, quando racconto la mia storia, non tremo più. Non mi vergogno. Perché ho vinto. Ho vinto io.”
Elena non è un’eroina da film. È una donna qualunque, che ha attraversato l’inferno e ne è uscita camminando piano, ma con la testa alta. La sua storia ci ricorda che a volte la resilienza si manifesta nel gesto più semplice e più potente di tutti: dire basta.
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