Strage di San Marco in Lamis. Pettinicchio vuota il sacco. I killer, il movente e ruoli esterni
Dopo i vari arresti di alcuni esponenti di spicco della mafia garganica, nello specifico del "clan dei montanari", oggi gestito dalle famiglie li-Bergolis-Miucci-Lombardi (meglio conosciuti come "Lombardone"), e dopo che alcuni di questi o hanno parlato o sono diventati collaboratori di giustizia, emergono dettagli inquietanti sulla famigerata "strage di San Marco", avvenuta il 09 agosto 2017, in agro San Marco in Lamis nei pressi della vecchia stazione ferroviaria.
Lì fu terreno di sangue, di un vero e proprio agguato criminale, una strage di mafia per mano di killer che spezzarono la vita a quattro persone, tra faide decennali di alcune famiglie del Gargano notoriamente contrapposte per affari di droga, traffico d'armi e controllo del territorio. Quel giorno l'obiettivo era il boss Mario Luciano Romito, capo dell'omonimo clan manfredoniano, ucciso a colpi di fucile e Kalashnikov, assieme a suo cognato Matteo De Palma, entrambi a bordo dell'ormai famigerato maggiolone nero. E sempre quel giorno, dopo l'assassinio dei due mafiosi, furono trucidati due agricoltori, i fratelli Aurelio e Luigi Luciani, proprietari di quelle terre oggi intrise di sangue ma anche simbolo antimafia.
Questa è la cronaca, divenuta famosa o famigerata che sia, conosciuta in tutta il mondo, perché quella strage ha fatto parlare l'intero globo terracqueo. Cronaca cui son stati assegnati tasselli per ricostruire l'ingarbugliato puzzle che ha avvolto quell'evento, sia per le azioni, sia per i tempi, sia per il movente e soprattutto per la precisa architettura dell'agguato. Anche per il ruolo dei due fratelli Luciani, considerati vittime innocenti, al posto sbagliato nel momento sbagliato. A dir il vero forse era il momento che era sbagliato ma non il posto giacché quelle terre erano le loro e ci stavano lavorando. Su quel terreno oggi sorge un monumento, a ricordo dei Luciani e di tutto ciò che è contro le mafie.
Ma da alcune ore (in verità sono circa tre mesi, ma ore per la pubblica conoscenza) sono emersi nuovi elementi su quel giorno. Uno dei personaggi di spicco del "clan dei montanari", Matteo Pettinicchio, già braccio destro di Enzo Miucci (detto anche "Enzino U’ Criatur") boss del clan e oggi in regime di carcerazione, ha deciso di vuotare il sacco. Davanti ai giudici, precisamente al PM della DDA Ettore Cardinali, il 18 febbraio 2025, nell'ambito del processo “Mare e monti” contro il clan li-Bergolis-Miucci che ha sortito ben 41 arresti nell’ottobre 2024, Pettinicchio ha dichiarato che «Enzo Miucci, Roberto Prencipe, Saverio Tucci e Girolamo Perna; Giovanni Caterino fece da bacchetta (in gergo da basista, ndr.). Fecero l’azione travisati con i sottocaschi e spararono con fucili e mitra Kalashnikov», così facendo luce sugli esecutori materiali di quelle quattro persone. Uno scenario che apre nuove piste e ipotesi sui ruoli, a vario titolo, di chi perse la vita e di chi poi ottenne benefici da quella strage, ovviamente sempre negli ambiti criminali, ricordando che il "clan dei montanari" e il clan dei Romito sono stati sempre acerrimi rivali.
Rivelazioni uscite in diversi media, riportati in prima istanza da La Gazzetta del Mezzogiorno, che compone un quadro che oggi potrebbe rivedere finanche il ruolo dei due agricoltori considerati vittime innocenti. Ma andiamo per ordine.
Rivelazioni uscite in diversi media, riportati in prima istanza da La Gazzetta del Mezzogiorno, che compone un quadro che oggi potrebbe rivedere finanche il ruolo dei due agricoltori considerati vittime innocenti. Ma andiamo per ordine.
Sempre dalle dichiarazioni alla DDA, quel giorno, come è stato detto, Pettinicchio disegna uno per uno quel gruppo di fuoco, killer veri e propri come nel DNA della mafia garganica, pianificatori sanguinosi di assassini, affermando che Miucci e Perna (conosciuto come "Peppa Pig") erano armati con i fucili, Prencipe (conosciuto come "il cacciatore" o Roberto della montagna”) con il Kalashnikov, mentre Tucci con una pistola e che era alla guida della Ford C-MAX che irruppe nei terreni dei Luciani, auto poi abbandonata a incendiata, mentre gli altri tre aprirono il fuoco: «guidava la Ford C-MaX; gli alti tre spararono. Miucci e Perna». E difatti prosegue affermando che: «avevano il fucile; Prencipe il Kalashnikov e Tucci la pistola. Lo so perché mi raccontò tutto Miucci in carcere a Lanciano nel 2018. Quello di Romito era un omicidio già deciso da almeno una decina di anni. Miucci mi disse che i fratelli Luciani fecero segno a Romito di seguirli per andare in campagna da loro dove sarebbe dovuto avvenire un incontro con i foggiani, in particolare con Rocco Moretti (detto “il porco" e boss indiscusso di una delle batterie della "società " foggiana ndr.)», il racconto di Pettinicchio. Oggi Perna non c'è più e non potrebbe avallare le dichiarazioni, fu ucciso il 26 aprile del 2019, appena 28enne, durante una faida con i rivali del clan Raduano, che controlla l'area viestana del Promontorio. E continua dichiarando che «Miucci mi riferì che spararono contro il maggiolone su cui c’erano Romito e il cognato che finì fuori strada; Miucci scese dall’auto, aprì lo sportello e sparò in faccia a Romito che era ansimante dicendogli: "scapp’ mo Mario Romì"».
Quanto dichiarato da Pettinicchio, come lui stesso ha riferito alla DDA e come sopra riportato nel virgolettato, i dettagli dell'esecuzione di Romito sono frutto di un colloquio avuto direttamente con il Miucci in carcere a Lanciano nel 2018, confermando così quanto la pianificazione fosse frutto di una strategia condivisa e maturata nel tempo, parrebbe da oltre dieci anni, dopo 25 omicidi e ben 36 agguati avvenuti dall'anno 2008 oggi, vendette che hanno inasprito ulteriormente gli equilibri criminali e già labili fin dall'inizio tra i clan presenti sul Gargano
Dichiarazioni che potevano essere ulteriormente confermate da Saverio Tucci (conosciuto come "faccia d'angelo"), all'epoca narcotrafficante del golfo sipontino, se non fosse stato ucciso nell’ottobre del 2017 ad Amsterdam dal concittadino Carlo Magno, oggi pentito.
Tuttavia Matteo Pettinicchio non si ferma solo ai dettagli dei killer di Mario Luciano Romito ed il cognato Matteo De Palma, prosegue anche sul ruolo dei fratelli Luciani, oggi considerati vittime innocenti di mafia. Pettinicchio dalle dichiarazioni fornite alla DDA afferma che i fratelli Aurelio e Luigi Luciani erano ignari di quello che stava per succedere ma che avrebbero indicato a Romito di seguirlo in campagna per un presunto incontro con il boss foggiano Rocco Moretti e che a ucciderli sarebbe stato Miucci. Ad oggi non si hanno conferme terze su ciò che Pettinicchio ha dichiarato sui Luciani, certo è che alla DDA ha detto che: «Non li conoscevo. Miucci mi disse che si informò su di loro prima di sparare. Non ho mai dubitato delle sue parole». Parole che includerebbero altre dichiarazioni sui Luciani, che riportarle sarebbe improprio senza riscontri oggettivi degli inquirenti, dove potrebbero cambiare completamente scenari di ciò che fino a ora si è detto.
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