"Il cartello dell'acqua". Capitolo I – L’oro blu sotto assedio: chi controlla davvero l’acqua in Italia - NOC Press

"Il cartello dell'acqua". Capitolo I – L’oro blu sotto assedio: chi controlla davvero l’acqua in Italia






di Roberto Arcu Fedele


Nel 2011, oltre 27 milioni di italiani si espressero chiaramente con un referendum: l’acqua deve rimanere pubblica. La volontà popolare fu inequivocabile, ma a oltre dieci anni di distanza la gestione dell'acqua potabile è sempre più nelle mani di società per azioni, in parte controllate da multinazionali e fondi d'investimento. Questo primo capitolo della nostra inchiesta svela chi possiede davvero le reti idriche italiane e come il voto popolare sia stato aggirato da logiche di profitto.


UN QUADRO NORMATIVO CHE FAVORISCE LE MULTIUTILITY 

Dopo il referendum del 2011, che abrogò il profitto garantito nella tariffa del servizio idrico, il legislatore avrebbe dovuto promuovere modelli integralmente pubblici. Tuttavia, con il decreto-legge n. 133/2014 (cosiddetto "Sblocca Italia") e successivamente con la Legge 221/2015, si è favorito il processo di accorpamento dei gestori, spingendo per economie di scala che spesso hanno favorito società private o partecipate miste.

L'ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente), con le sue delibere, ha consolidato un sistema di regolazione che considera legittimi i profitti derivanti dalla gestione, purché legati a investimenti e miglioramenti delle reti. Ma secondo molte associazioni, ciò ha di fatto svuotato il senso del referendum.

CHI GESTISCE L’ACQUA OGGI IN ITALIA? 

Nel 2023, secondo il Rapporto ARERA sul servizio idrico integrato, circa il 97% della popolazione è servita da gestori che operano in regime di concessione. Di questi, una quota significativa è rappresentata da società per azioni. Tra i principali attori troviamo:

  • ACEA S.p.A.: controllata al 51% dal Comune di Roma, ha partecipazioni anche della francese SUEZ. Gestisce oltre 8 milioni di abitanti.
  • IREN S.p.A.: con base a Reggio Emilia, partecipata da diversi comuni emiliani e piemontesi, serve oltre 2,8 milioni di abitanti.
  • HERA S.p.A.: con sede a Bologna, posseduta da una galassia di comuni, serve circa 3 milioni di cittadini.
  • A2A S.p.A.: milanese e bresciana, è controllata in parte da enti locali ma partecipata anche da fondi di investimento.

Tutte queste società sono quotate in Borsa e perseguono l’interesse degli azionisti, come previsto dal Codice Civile. Secondo il report annuale 2023 di Re: Common e Altreconomia, ACEA, IREN, A2A e HERA hanno cumulato utili netti superiori a 1,5 miliardi di euro in tre anni, con dividendi distribuiti anche mentre le reti mostravano perdite del 40%.

IL RUOLO DEI FONDI E DELLE MULTINAZIONALI STRANIERE 

Nel capitale delle multiutility italiane sono presenti diversi attori internazionali:

  • SUEZ (Francia) ha partecipazioni dirette e indirette in ACEA e altri gestori minori.
  • Il fondo australiano Macquarie Infrastructure detiene quote in alcuni gestori tramite la società Idrosicilia Srl.
  • Il fondo sovrano norvegese e BlackRock risultano azionisti minoritari in Hera e A2A (Fonte: dati CONSOB 2023).

Questa infiltrazione del capitale straniero, pur legale, ha effetti sul governo della risorsa: le priorità industriali e finanziarie superano spesso quelle ambientali o sociali, in contrasto con il principio dell’acqua come bene comune sancito dal referendum.

UN REFERENDUM TRADITO 

Il referendum del 2011, promosso dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, abrogava l’articolo 154 del D.Lgs. 152/2006 nella parte in cui garantiva una "adeguata remunerazione del capitale investito" ai gestori. Tuttavia, il sistema è stato ricostruito su nuove basi giuridiche e tariffarie che continuano a premiare l’accumulazione di utili.

Come evidenziato nella relazione annuale di ARERA 2022, le tariffe medie sono aumentate del 20% in cinque anni, ma gli investimenti reali in infrastrutture idriche restano insufficienti, soprattutto nel Mezzogiorno.

VERSO UN NUOVO RISCHIO: LE MEGA-FUSIONI 

Nel 2024, si discute della fusione tra alcuni grandi operatori del Nord per formare una “Superutility dell’acqua” con sede a Milano. L’operazione è sostenuta da ambienti politici bipartisan e banche d’affari. Il rischio, secondo il Centro Nuovo Modello di Sviluppo (report 2024), è quello di una concentrazione oligopolistica che rende difficile ogni forma di controllo democratico.

Riflessioni

Chi controlla oggi l'acqua in Italia? Formalmente ancora gli enti locali, ma nei fatti la gestione è affidata a società che rispondono agli azionisti, non ai cittadini. Il referendum del 2011 non è stato annullato da una legge, ma svuotato da una serie di riforme, incentivi e interpretazioni che hanno aperto la porta a una nuova forma di privatizzazione: silenziosa, finanziarizzata e legittimata.

Fonti principali:

  • Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA), "Rapporto 2023 sul servizio idrico" – www.arera.it
  • Re:Common, "Il grande affare dell’acqua in Italia", report giugno 2023 – www.recommon.org
  • Altreconomia, "Chi controlla davvero le multiutility dell’acqua", dicembre 2023
  • Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, www.acquabenecomune.org
  • CONSOB, partecipazioni rilevanti nelle società quotate 2023 – www.consob.it
  • Centro Nuovo Modello di Sviluppo, dossier privatizzazioni 2024
  • Dati societari: ACEA, IREN, HERA, A2A (relazioni finanziarie pubbliche)

Tutti i dati sono stati verificati e provengono da fonti ufficiali o documentazione pubblica. 

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