Washington in crisi: diplomazia in stallo, escalation militari e repressione interna - NOC Press

Washington in crisi: diplomazia in stallo, escalation militari e repressione interna

 




Nelle ultime settimane, Washington è diventata il teatro di una serie di tensioni diplomatiche e politiche che rischiano di compromettere ulteriormente gli equilibri internazionali. La Casa Bianca si trova ad affrontare frizioni su più fronti: dalle relazioni con la Cina e la Russia, fino al Medio Oriente, con conseguenze che iniziano a riflettersi anche sul piano interno.

L’apparente intesa sui dazi con Pechino si è dissolta nel giro di poche ore. Il presidente Trump ha accusato pubblicamente la Cina di aver violato gli accordi commerciali, innescando un’ulteriore fase di incertezza per i mercati internazionali. Parallelamente, i negoziati con l’Iran sul nucleare sembrano essersi arenati, mentre l’alleato israeliano alza la voce e minaccia iniziative unilaterali che potrebbero coinvolgere direttamente gli Stati Uniti.

Sul fronte ucraino, Trump ha lanciato l’idea di un cessate il fuoco, ma la risposta del Cremlino è stata netta: Mosca continua a chiedere garanzie precise, tra cui l’esclusione dell’Ucraina dalla NATO, il riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea e lo status speciale per le aree a maggioranza russofona nel Donbass. Le relazioni bilaterali con la Russia, già fredde, si sono ulteriormente irrigidite dopo dichiarazioni di Trump in cui definiva il presidente Putin “instabile”, ventilando nuove sanzioni economiche.

In Europa, la Germania ha deciso di rafforzare il supporto militare a Kiev condividendo tecnologia per lo sviluppo di missili a lungo raggio. Un passo che Mosca ha interpretato come provocazione diretta. In risposta, il Cremlino ha lasciato intendere che un eventuale attacco su Mosca con quei missili verrebbe considerato un atto ostile da parte di Berlino. Il rischio di escalation in Europa, secondo alcuni osservatori, non è più solo teorico.

Il quadro si complica ulteriormente in Medio Oriente. Le tensioni tra Israele e Iran rischiano di degenerare. Il premier israeliano Netanyahu ha evocato la possibilità di colpire siti strategici in Iran, nel timore che Teheran acceleri il proprio programma nucleare. Gli Stati Uniti potrebbero ritrovarsi coinvolti in una nuova fase di instabilità regionale, con il Congresso pronto a sostenere Tel Aviv a ogni costo.

All’interno, la gestione del dissenso da parte dell’amministrazione Trump preoccupa. Le proteste contro la guerra a Gaza, condotte in gran parte da studenti universitari, sono state represse con misure severe. Alcuni dimostranti sono stati espulsi dal Paese, mentre il Dipartimento di Stato ha iniziato a richiedere ai potenziali studenti stranieri l’accesso ai loro profili social, alla ricerca di contenuti “sospetti”.

Il controllo si è intensificato nei confronti degli studenti provenienti da paesi considerati “a rischio”, in particolare quelli che hanno sostenuto movimenti come il BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele). L’amministrazione ha chiesto ad atenei come Harvard di fornire dati dettagliati sugli studenti stranieri, con l’intenzione, secondo fonti riservate, di revocare visti a chi esprime critiche verso Israele.

Paradossalmente, tra coloro che rischiano l’espulsione ci sarebbero anche oltre 150 studenti israeliani, alcuni dei quali con precedenti militari nelle Forze di Difesa Israeliane. Tuttavia, fonti vicine alla Casa Bianca danno per certa un’imminente deroga ad hoc, che tutelerebbe proprio questi soggetti da qualsiasi provvedimento amministrativo. Un’ulteriore conferma dello status speciale riconosciuto a Israele all’interno della politica estera e migratoria statunitense.

Il clima a Washington si fa sempre più teso. La combinazione tra repressione interna, ambiguità diplomatica e retorica bellicista rischia di proiettare gli Stati Uniti verso una stagione di instabilità, in patria e all’estero.

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