Capitanata: "quarta mafia", ci sono tutti, dalla camorra alla 'ndrangheta e poi c'è "Lei", Rosetta, la sorella di Cutolo che visse a San Severo [VIDEO] - NOC Press

Capitanata: "quarta mafia", ci sono tutti, dalla camorra alla 'ndrangheta e poi c'è "Lei", Rosetta, la sorella di Cutolo che visse a San Severo [VIDEO]






Tratto dal libro dei N.O.C. "l'antiracket che non ti aspetti" pubblicato nel Gennaio 2020


Si scrive tanto sulla quarta mafia, ma...


Com’è nata la “società” foggiana?

Tutto ebbe inizio con la strage del “Bacardi”, un circolo nel centro storico di Foggia, a Piazza Mercato, dove alle tre del mattino del Primo maggio del 1986 vennero uccisi quattro pregiudicati e ferito un quinto, tutti del clan Laviano, di Giuseppe Laviano, luogotenente a Foggia della “sacra corona unita”, poi ucciso nel gennaio del 1989, il cui corpo non fu mai trovato. Essa mise definitivamente fine alle ambizioni espansionistiche del clan dei Laviano, sancendo di fatto l’ascesa di Rocco Moretti, Vito Bruno Lanza, Mario Fancavilla, che unitamente a Giosuè Rizzi, diedero vita alla “società” foggiana, diventando un’organizzazione criminale efferata, piramidale, e che dopo qualche anno fu riconosciuta giudizialmente come vera e propria organizzazione mafiosa.

Fonti, più che altro pettegolezzi popolani, parlano che la “società” sarebbe una costola della sacra corona unita (o scu). Una voce riconducibile a Giosuè Rizzi tra i fondatori della “scu”, poi primula rossa della “società”. Oggigiorno la “società” foggiana è stata definita la quarta mafia, perciò pari, anzi superiore, alla “scu”, e non è un vanto.

Solo dopo l’uscita dal carcere del rivale storico Rocco Moretti, detto “il porco”, la batteria contrapposta tentò con due agguati di far capire chi contava in città. Agguati che fecero scoppiare una pseudo guerra di mafia, perché Moretti, contrariamente al suo fedelissimo amico boss Giosuè Rizzi, freddato in via Napoli il 10 gennaio 2012, (il quale non aveva fatto i conti che il suo nome di peso non bastasse per garantirgli un ritorno su piazza, cosa che non ha fatto Moretti), non dimorando a Foggia, pian piano si riorganizzò in maniera maniacale, assoldando nuove leve, corrompendo e allettando i soldati della batteria avversa per tradire i loro “capi”. E a quanto pare il “porco” ci riuscì e alla grande, anche perché (e ve lo ripetiamo ancora una volta) il Gargano gran parte era ed è suo, pur con altri clan che lo comandano ma sottoposti alla “società”. È un dato di fatto che spesso non viene detto dai media e nelle relazioni giudiziali, anche nelle relazioni semestrali che scrive e rilascia la DIA, ma che sul campo e nei loro affari ha un peso importante. E solo chi sotto copertura fa indagini contro essi ne è a conoscenza, come i N.O.C., e come l’antimafia che però non lo menziona per ovvie ragioni di indagini. Così facendo il clan Moretti conquistò terreno, ingrandendo il business di armi e droga, rinforzandolo. Ma il clan Moretti vuole Foggia, fortino dei rivali Sinesi-Francavilla. La scalata sarà dura, pur sapendo che i rivali si sono indeboliti. Certo è che i due capi clan non sono certo degli sprovveduti. La “società” foggiana si chiama così perché è una società costituita in passato dai due capi attuali, gli stessi che oggi si fanno la guerra, che negli anni ha consolidato, all’interno delle stesse batterie, affiliazioni tra parentele, con matrimoni predefiniti, determinando germani e cuginanze varie. Motivo in più da parte loro per non denunciarsi, appunto come fa la ‘ndrangheta. Difatti come quest’ultima la “società” purtroppo vanta pochissimi collaboratori di giustizia.

Tuttavia nel termine utilizzato dalla mafia locale, “società”, vi potrebbe essere un’origine storica, legata visceralmente all’antropologia di chi ha colonizzato Foggia. Presumibilmente mutuato, ma non v'è certezza, “società” potrebbe essere legato all'antica comunità dei "caprari" o "caprai", in foggiano “capràre”.


Nel merito è stato un gruppo pastorizio presente nei secoli scorsi a Foggia (alcuni discendenti sono ancora in vita e popolano la città), cui le origini risalgono verosimilmente a due fratelli campani di due famiglie. I “capràre” erano un gruppo molto unito tra loro e, come si evince dal nome, allevavano capre e vendevano il loro latte di vicoli in vicoli, casa per casa, perciò battevano il territorio metro per metro, dividendoselo per aree, controllandolo e difendendolo. La storia racconta di predominio difeso fino alla morte e cagionandola se qualcuno si interponeva nei loro affari. Era una casta, seppur di pastori, che nel foggiano radicò le sue progenie, incrociandosi con altri pastori, quelli locali, della transumanza abruzzese e molisana, del Sannio, ma mantenendo il controllo del territorio. Loro dicevano che “Caprari si nasce, non si diventa”. Infatti, erano un gruppo corporativistico, perciò familiarmente societario, organizzati in comunità, che si sposavano tra loro, svolgendo le stesse attività lavorative, appunto come è avvenuto e avviene nell'organizzazione criminale mafiosa della “società” foggiana, costituita in più batterie tra parenti. Fonti storiche, queste, ottenute parlando con chi oggi abita nei territori che un tempo era il “Borgo Caprari”, persone di una certa età, che tramandano la loro storia di padre in figlio, testimoniata in saggi e libri.

Dagli inquirenti delle varie Forze di polizia, dalla DIA e DDA, con procure annesse, sono state fatte statistiche, diramate mappe, ipotetiche alleanze territoriali, ma poco si è parlato o scritto di alleanze extraterritoriali con mafie nazionali e internazionali.

Un documento che riassume la “mappatura” succitata è scritto nelle Relazioni DIA, quelle semestrali, quelle che ai fin dei conti diventano “bibbia per tutti”. La “società” foggiana negli ultimi anni ha stretto, per mezzo delle loro batterie principali e clan affiliati o subalterni, sodalizi soprattutto con la mafia albanese, dove con Valona vi è un filo diretto per il traffico di armi e droga. Tanto per rendere l’idea la città di Valona, in Albania, ha poco più di 189mila abitanti. È il secondo porto dell'albanese, dopo quello di Durazzo. Sorge nella parte sud-occidentale dello stato balcanico, sulle rive del mar Adriatico, e non a caso l’Albania viene definita la Colombia d’Europa. Difatti una batteria foggiana, unitamente agli albanesi che si sono aggiunti di recente, insieme hanno cercato di mantenere e di riprendere il monopolio sul rifornimento di droga che avevano con i “milanesi” Sabatino (di origine sanseveresi). Lo hanno fatto nella loro roccaforte di Quarto Oggiaro, unitamente con Severino Palumbo che avevano ottimi rapporti. Stessa prassi messa in pratica dai Gallo e dagli Abbaticchio di Bari per il rifornimento di droga nella cittadina dell’Alto Tavoliere, ovvero San Severo, crocevia storico di traffici illeciti. Eliminato Severino Palumbo, nella sera del 2 aprile 2015, elemento di spicco capace di avere ramificazioni con gran parte della Puglia ed un filo diretto con Milano e l’estero, la leadership rimasta vacante nel controllo della droga doveva essere rimpiazzata. E qui interviene direttamente la “società” foggiana, che ha garantito coperture e presenze, facendo diventare San Severo una delle più importanti, e perciò fornite, basi logistiche dei loro affari, ovviamente con accordi con i clan sanseveresi. È noto a tutti che San Severo ha fatto sempre gola a molti e soprattutto a coloro (clan rivali) che hanno tentato la successiva scalata al controllo del territorio. Come detto San Severo è un crocevia, un centro nevralgico di “rifornimento” fra Foggia, il Gargano e Puglia Nord, senza escludere quelli fatti nelle Marche, in Abruzzo e in Molise. Insomma, tutto in mano a quella stessa “società” che vede tuttora i due capi storici, e per giunta rivali, fuori dalle carceri ad impartire ordini e a tramare vendette (anno 2017). Come dire, chi si aggiudica San Severo, è già a metà dell’opera.

Da tener conto che i rapporti tra camorra e delinquenza foggiana sono, probabilmente, quelli di più antica data e quelli più profondi. 

Foto Rosetta Cutolo, sorella di Raffaele e Pasquale 

La delinquenza foggiana è riuscita a fare il salto di qualità proprio grazie alla camorra, quella di Cutolo in particolare. Storicamente Cutolo, come detto, si insediò in Puglia per formare la scu. Un progetto che riuscì e che voleva ingrandire con la "nuova camorra pugliese". Ma dopo l'uccisione di don Peppe Sciorio, luogotenente di Cutolo per Foggia, fu un chiaro segno che il crimine foggiano voleva diventare indipendente e la fame di potere degli uomini foggiani e la loro voglia di predominio, fece in parte desistere Cutolo, convincendosi che era meglio tenere un varco sempre aperto concedendo terreno anziché osteggiare chi aveva in loco più visibilità. Qui la mafia foggiana, si può dire, iniziò la sua ascesa, in parte autonoma, in parte sotto la "benedizione" de "O' Professore". Difatti molti "cutoliani" trascorsero i periodi di reclusione nelle carceri di San Severo e Foggia prendendo contatti con la delinquenza locale e affiliando alcuni personaggi. Non a caso la sorella di Raffaele Cutolo, Rosetta, abitò a San Severo in soggiorno obbligato. Tuttavia non è da trascurare che l’attuale clan predominante foggiano (sempre riferito all’anno 2017, giacché ora nel 2019 è cambiato l’assetto apicale per arresti e omicidi, anno riferito alla chiusura e poi pubblicazione del succitato libro), può contare sull’alleanza sancita anni addietro intessendo alleanze con la ‘ndrangheta calabrese. Ciò grazie ai rapporti tra Roberto Sinesi e Franco Coco Trovato, quest’ultimo esponente di spicco della cosca De Stefano/Papalia. Il tutto a testimonianza degli ottimi rapporti fra il clan dei montanari (Monte Sant’Angelo, sul Gargano) e la batteria foggiana Sinesi-Francavilla, entrambi con conoscenze riconducibili nella ‘ndrangheta.


È risaputo, inoltre, che il “clan dei montanari”, in primis con il suo boss “rampollo” Franco Li Bergolis (o Libergolis per refusi di stampa), tra i 30 latitanti più pericolosi d'Italia, appena 30enne, durante la sua latitanza ebbe coperture dal clan Francavilla di Foggia. Da quell’episodio e da quella copertura la batteria foggiana ebbe notevoli benefici in termini di conoscenze fuori porta. Difatti il clan Li Bergolis , ribattezzato “clan dei montanari”, è un clan mafioso originario di Monte Sant'Angelo, attivo sul Gargano e in alcune sue zone limitrofe in provincia di Foggia, con agganci e ramificazioni anche all'estero. Vengono anche definiti i “re” del pizzo. Le attività illecite che svolgono sono l'estorsione, riscossione del pizzo, riciclaggio di denaro, traffico di stupefacenti, usura e omicidio. Il clan dei montanari, durante la fase di predominio, poteva contare su circa 296 affiliati, con contatti consolidati della famiglia De Stefano, di Reggio Calabria, e di quella degli Zaza-Mazzarella, di Napoli. Contatti che inevitabilmente e di riflesso si incrociano con ‘ndrangheta e camorra. Conoscenze che la mafia foggiana ha saputo consolidare e ben sfruttare. Non a caso si dice che sul territorio di Capitanata vi sia ancora un latitante di spessore della ‘ndrangheta taurese (di Gioia Tauro) protetto dalla mafia locale (2019).


Negli ultimi anni i consistenti ritrovamenti di armi da guerra e di droga sul nostro territorio sono stati sinonimo di area di logistica per ‘ndranghetisti e camorristi, approvvigionandosi all’occorrenza. Un modus operandi mafioso studiato ad hoc per i molteplici riflettori puntanti contro di essi da tutte le Forze di polizia e intelligence. Azioni che hanno immancabilmente cambiato l’asset criminale, preferendo chi avesse più risorse e perciò comando. A oggi, la batteria foggiana Sinesi-Francavilla, oltre ai vari arresti e omicidi perciò indebolita, è stata massimamente tagliata fuori da questo business. Un motivo in più per la guerra di mafia territoriale scatenata contro l’altra storica batteria della “società”, la Moretti-Pellegrino-Lanza capeggiata dal boss mammasantissima, oggi detenuto (anno 2019), Rocco Moretti, detto “u purc (il porco)”. La storia testimonia che nel periodo più buio della guerra di mala locale, tra il 1998 e il 1999 si contarono 14 omicidi e 2 agguati falliti, scatenando una guerra di mafia, dove a farne le spese sono stati sia alcuni pregiudicati di spicco dei clan rivali fra loro ma prevalentemente degli innocenti che con la mafia non c'entravano nulla. Non sempre la mafia si combatte tra essa. Stabiliti nuovamente i territori, e perciò i ruoli, anche apicali, un’ipotesi alla luce di ciò che accade e maggiormente che potrebbe accadere al ritorno in libertà di boss, sarebbe quella di una tacita alleanza per spartirsi la torta, con proventi fuori porta che assicurino gli affari della ‘ndrangheta e della camorra. Una congettura (lo è per dinamiche in essere e in continuo cambiamento per le azioni che le Forze di polizia stanno mettendo a segno) perché ci sarebbe difficile pensare che le due compagini mafiose, di spessore, si affidino a clan altrettanto mafiosi in contrasto fra di loro. Noi non lo pensiamo possibile. Difatti i morti ammazzati in questi ultimi anni, fino al 2017, anno della svolta e di ripresa di mattanze per il predominio territoriale, riguardano omicidi per droga e traffici di armi. 

Bisogna sempre tener bene in mente che arriverà il giorno che chi è in carcere, anche col 41bis, uscirà. Quando lo farà, rivorrà il suo posto, lo hanno anche detto: i Li Bergolis sono tra questi. Nel frattempo c’è già chi sta lavorando perché ciò accada e le avvisaglie sono all’ordine del giorno, “scaramucce” fra rivali, regolamenti di conti, infiltrazioni nelle Pubbliche Amministrazioni che, dopo indagini determinano scioglimenti dei Consigli comunali ma non l’infiltrazione poiché gli introdotti sono anche non politici, bensì amministrativi non “sciolti”. Pertanto altra cosa è dire GUERRA DI MAFIA per detenere il potere assoluto, un’altra è attentare o uccidere per un determinato scopo. La mafia nel territorio di Capitanata si è evoluta. Ha preso spunto da quella calabra. Purtroppo, come detto in precedenza, vanta pochissimi collaboratori di giustizia e gran appeal a fiutare affari su appalti pubblici, come fa la ‘ndrangheta.



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