Greenwashing e false etichette: quando le multinazionali Ingannano i consumatori - NOC Press

Greenwashing e false etichette: quando le multinazionali Ingannano i consumatori






Negli ultimi anni, molte multinazionali hanno costruito un'immagine "sostenibile" e "salutare" attraverso strategie di marketing che, in realtà, mascherano pratiche ben diverse. Dal greenwashing, ossia il tentativo di apparire più ecologici di quanto siano, alle etichette alimentari ingannevoli, i grandi marchi continuano a sfruttare la fiducia dei consumatori. Ma chi sono i principali colpevoli? Scopriamolo insieme.

Greenwashing: la falsa sostenibilità delle multinazionali

Molti marchi si sono appropriati di una veste "green" per migliorare la loro immagine pubblica, mentre i loro impatti ambientali restano devastanti. Alcuni esempi emblematici:

  • ENI: La multinazionale italiana dell’energia ha lanciato campagne pubblicitarie incentrate sulla transizione ecologica, presentandosi come leader delle energie rinnovabili. Tuttavia, dati alla mano, la stragrande maggioranza dei suoi investimenti rimane nel settore dei combustibili fossili, contribuendo significativamente all’inquinamento globale.
  • Coca-Cola: Nonostante promuova la riciclabilità delle sue bottiglie e iniziative green, è stata ripetutamente nominata tra i principali inquinatori di plastica al mondo. Le sue promesse di riduzione dell'impatto ambientale restano spesso dichiarazioni di facciata.
  • McDonald's: Il cambio del logo da rosso a verde in alcuni paesi europei è stata una mossa di marketing per sottolineare un presunto impegno ambientale. Tuttavia, la catena è stata criticata per la deforestazione legata all’allevamento bovino e per l’uso massiccio di plastica monouso. 

Etichette alimentari: la verità dietro i prodotti "salutari"

Se il greenwashing è una trappola ambientale, nel settore alimentare la strategia più diffusa è la manipolazione delle etichette per far apparire i prodotti più sani di quanto realmente siano. Un caso recente che ha fatto scalpore riguarda Barilla, ma non è l'unica.

Il caso Barilla: il "Made in Italy" che non sempre lo è

Barilla sotto accusa negli USA: Class Action per pubblicità ingannevole sull'origine della pasta

Negli Stati Uniti, il colosso italiano della pasta Barilla è finito al centro di una controversia legale che ha attirato l’attenzione di consumatori e media. L’accusa? Pubblicità ingannevole sull’origine dei suoi prodotti.

Tutto ha avuto inizio con la denuncia di due consumatori californiani, Matthew Sinatro e Jessica Prost, i quali sostengono di essere stati indotti a credere che la pasta Barilla venduta negli USA fosse prodotta in Italia. A rafforzare questa impressione, secondo i querelanti, sarebbero state le scritte sulle confezioni, come "Italy’s #1 Brand of Pasta", e l'uso dei colori della bandiera italiana nel packaging. Tuttavia, la realtà è ben diversa: la pasta destinata al mercato statunitense viene prodotta in stabilimenti situati in Iowa e New York, con ingredienti provenienti dagli Stati Uniti e da altri paesi.

Barilla ha cercato di respingere le accuse, sostenendo che il riferimento all'Italia non è ingannevole, ma rappresenta un tributo alla sua eredità storica e alla tradizione italiana nella produzione di pasta. Inoltre, l’azienda sottolinea che sulle confezioni è presente la dicitura "Made in the U.S.A. with U.S.A. and imported ingredients", un'informazione disponibile anche sul sito web ufficiale.

Nonostante ciò, il giudice federale Donna M. Ryu ha respinto la richiesta di Barilla di archiviare il caso, consentendo alla class action di procedere. Nel maggio 2024, la stessa giudice ha certificato l’azione legale collettiva, aprendo la strada ai consumatori californiani che hanno acquistato i prodotti Barilla con le etichette contestate per unirsi alla causa.

L’azienda si è detta fiduciosa nella trasparenza delle proprie comunicazioni e ritiene di poter dimostrare che le accuse sono infondate. Nel frattempo, ha presentato una mozione per rivedere la decisione del tribunale.

Questo caso non riguarda solo Barilla, ma solleva una questione più ampia sulla comunicazione dell'origine dei prodotti e sulla percezione dei consumatori. Il marketing legato al “Made in Italy” è un potente strumento di vendita, ma quando viene usato su prodotti realizzati altrove, può diventare un terreno minato per le aziende, esponendole al rischio di azioni legali come questa.


Altri esempi di etichette ingannevoli
  • Altroconsumo ha denunciato 40 prodotti alimentari con etichette che dichiaravano "senza zucchero", quando in realtà contenevano dolcificanti o altre forme di zucchero nascosto.
  • Bevande zuccherate spesso vengono vendute come "arricchite con vitamine", inducendo il consumatore a percepirle come salutari nonostante l’alto contenuto di zuccheri.
  • Snack "light" e "naturali" che, analizzando l’etichetta, risultano pieni di additivi e conservanti poco salutari.
Cosa può fare il consumatore?

Di fronte a queste pratiche, i consumatori possono difendersi adottando alcuni accorgimenti:
  • Leggere sempre l’etichetta con attenzione: gli ingredienti e i valori nutrizionali raccontano più della pubblicità.
  • Verificare le certificazioni: un prodotto "eco-friendly" deve avere certificazioni riconosciute e verificabili.
  • Seguire inchieste e denunce di associazioni dei consumatori, che spesso smascherano le pratiche ingannevoli.
  • Premiare le aziende realmente sostenibili, facendo scelte d’acquisto più consapevoli.
N.d.r. Le multinazionali continuano a cavalcare la moda del green e del sano per aumentare le vendite, ma dietro le strategie di marketing si nasconde spesso una realtà ben diversa. Il compito di smascherarle spetta alle istituzioni, alle associazioni dei consumatori e, soprattutto, a noi. Essere consumatori informati è il primo passo per evitare di cadere nelle trappole del mercato e per premiare chi davvero opera con trasparenza e rispetto per l’ambiente e la salute.

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