Passaporto falso creato con l’IA di ultima generazione: il caso che fa tremare le autorità
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una corsa vertiginosa allo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Strumenti sempre più avanzati, capaci di scrivere, parlare, disegnare e persino creare contenuti altamente realistici. Ma cosa accade quando questi strumenti finiscono nelle mani sbagliate? Il recente caso di un passaporto falso generato con l’ausilio di ChatGPT-4o – la versione più evoluta dell’IA sviluppata da OpenAI – ha acceso un campanello d’allarme, forte e chiaro.
L’episodio, ancora al centro di accertamenti da parte delle autorità internazionali, ha portato alla luce un rischio concreto e imminente: l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per creare documenti d’identità falsi talmente precisi da ingannare persino i controlli digitali automatizzati. In particolare, il passaporto italiano risulta essere tra i più falsificati al mondo, con un'incidenza significativa che lo colloca al secondo posto in una classifica guidata dall’India. Il motivo? La reputazione e l’accessibilità del documento italiano, considerato tra i più “prestigiosi” per la libertà di movimento che garantisce.
A fornire dati allarmanti è Onfido, azienda leader nel settore della verifica digitale dell’identità. Secondo l’ultimo report, il numero di tentativi di frode con documenti sintetici – cioè creati digitalmente con IA – è aumentato del 31% nell’ultimo anno. Non stiamo più parlando di truffatori improvvisati, ma di vere e proprie organizzazioni criminali che sfruttano la tecnologia per aggirare i controlli di frontiera, accedere a conti bancari o ottenere crediti in modo fraudolento.
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Il problema non è solo tecnico, ma etico e sociale. L’evoluzione di strumenti come ChatGPT-4o, in grado di generare immagini fotorealistiche, testi coerenti e risposte precise, rischia di diventare un’arma a doppio taglio. L’IA non è “cattiva” di per sé, ma lo diventa quando viene usata senza controllo o senza coscienza delle conseguenze.
Per fortuna, non tutto è lasciato al caso. Le contromisure si stanno evolvendo: l’integrazione di dati biometrici nei documenti d’identità, il riconoscimento facciale avanzato e l’utilizzo della stessa intelligenza artificiale per individuare frodi digitali sono strumenti già in campo. Ma la corsa è aperta, e al momento le tecnologie di difesa sembrano inseguire, più che prevenire.
Serve un cambio di passo. Serve un dialogo continuo tra governi, aziende tecnologiche, esperti di cybersicurezza e cittadini. Serve, soprattutto, una regolamentazione chiara che limiti l’accesso a tecnologie potenzialmente pericolose se usate fuori contesto. Perché se è vero che l’IA può costruire il futuro, è altrettanto vero che – se mal gestita – può anche metterlo a rischio.
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