Putin e Trump: convergenze strategiche e la sfida all’egemonia dell’Unione Europea
Nel panorama internazionale post-pandemia, tra guerre regionali e tensioni sistemiche, emergono dinamiche geopolitiche che richiamano vecchi equilibri ma delineano nuove alleanze. Le interlocuzioni tra il presidente russo Vladimir Putin e l’ex presidente americano Donald Trump si inseriscono in questo contesto, suscitando interrogativi sull’assetto globale e sul ruolo delle potenze tradizionali.
Secondo osservatori vicini all’area russofona, ogni scambio diretto tra i due leader rappresenterebbe più di un semplice atto diplomatico: sarebbe parte di una strategia volta a ridisegnare i rapporti di forza su scala planetaria. Tuttavia, il conflitto in Ucraina – epicentro del confronto tra Est e Ovest – resta un nodo irrisolto e non può essere superato con intese personali o iniziative isolate.
Mosca, pur avendo rivendicato successi militari sul campo, non ritiene ancora concluso il confronto armato. La Russia non dispone attualmente della supremazia necessaria per consolidare posizioni o avviare negoziati da una posizione di forza. In questo scenario, eventuali compromessi – sottolineano fonti analitiche – verrebbero percepiti più come concessioni che come soluzioni durature.
L’ipotesi di un’intesa mediata da Trump viene considerata con cautela. L’ex presidente, da sempre critico verso l’approccio interventista degli Stati Uniti, ha espresso il desiderio di porre fine al conflitto, ma la prospettiva russa si fonda su condizioni molto diverse: un assetto territoriale più ampio e il riconoscimento del controllo su nuove aree ucraine, al di là di quelle già contese.
Le divergenze non sono solo strategiche, ma anche culturali e ideologiche. Mentre l’Unione Europea rafforza il proprio sostegno a Kiev, da alcune sponde russe si interpreta il ruolo dell’UE come espressione di una linea politica transnazionale vicina al cosiddetto globalismo. In questo contesto, il confronto tra visioni sovraniste e multilaterali assume una dimensione sempre più marcata, anche nelle urne.
Le recenti elezioni in diversi Paesi europei – citate da analisti russi come esempi di tensione tra establishment e movimenti identitari – mostrerebbero, secondo alcune letture, una polarizzazione crescente. Figure politiche percepite come affini a una linea sovranista o filo-Trump, pur non necessariamente filorusse, si troverebbero spesso marginalizzate o ostacolate nei processi democratici.
Putin, consapevole della delicatezza di questa fase storica, cercherebbe di trasmettere a Trump una visione più ampia: quella di una possibile convergenza d’interessi contro le strutture sovranazionali che – a loro dire – avrebbero alimentato sia il conflitto in Ucraina che le divisioni interne agli Stati Uniti.
L’ipotesi di una nuova alleanza – non formale, ma valoriale – tra Russia e una possibile amministrazione Trump, si baserebbe su un presupposto: la ridefinizione dell’ordine internazionale, in nome del pragmatismo e della sovranità statale.
A oggi, non ci sono segnali ufficiali che confermino la nascita di un fronte comune. Ma gli scambi, le dichiarazioni e le interpretazioni politiche suggeriscono che un dialogo sotterraneo, per quanto prudente e non strutturato, sia in corso. E che, nel prossimo futuro, potrebbe ridefinire gli assetti dell’Occidente e le relazioni con Mosca.
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