Stati Uniti a rischio declino? Il Nobel Robinson: “Senza inclusione e innovazione, la crescita è in pericolo”
Crisi delle istituzioni e fuga dei talenti: Robinson avverte gli Stati Uniti
Il Nobel per l’Economia 2024, James Robinson, mette in discussione il modello di sviluppo americano e avverte: senza inclusione e innovazione, la leadership economica globale è a rischio.
Trento – Festival dell’Economia 2025
James Robinson, economista di fama mondiale e fresco vincitore del Nobel per l’Economia, ha sollevato una riflessione che scuote le fondamenta della narrativa sulla crescita americana. Collegato dalla University of Chicago in occasione del Festival dell’Economia di Trento, Robinson ha tracciato una diagnosi preoccupante sul futuro degli Stati Uniti, mettendo in discussione le scelte politiche che stanno progressivamente ridisegnando il volto del Paese.
Il cuore della sua analisi parte da un presupposto semplice ma essenziale: la prosperità economica non è sostenibile senza istituzioni inclusive, capaci di attrarre talenti e alimentare innovazione. «Per decenni gli Stati Uniti sono stati una destinazione naturale per le menti brillanti di tutto il mondo. Oggi, quel modello sembra essere entrato in crisi», ha spiegato Robinson davanti a una platea gremita di studenti, accademici e professionisti.
L’economista ha rievocato le origini di figure simbolo dell’innovazione come Steve Jobs ed Elon Musk, figli di un tessuto sociale aperto e ricettivo. Ma ha anche messo in guardia sul rischio concreto di un’inversione di tendenza: «La chiusura culturale e politica rischia di spegnere il motore della creatività che ha reso gli Stati Uniti protagonisti dello scenario globale».
Un clima che non favorisce il pensiero critico
Robinson non ha risparmiato critiche al contesto istituzionale attuale, descritto come segnato da tensioni profonde e da un crescente scollamento tra cittadini e rappresentanza politica. Il dato più emblematico presentato durante il suo intervento è quello relativo alla fiducia nelle istituzioni democratiche: l’85% degli americani, secondo i grafici mostrati, esprime disillusione verso un sistema percepito come distante e autoreferenziale.
Un malessere che, secondo il Nobel, alimenta il successo di slogan identitari e nostalgici, ma anche una crescente sfiducia nella possibilità di un miglioramento condiviso. «Negli Stati Uniti di oggi – ha detto – il miglioramento delle condizioni economiche sembra riservato solo a chi ha avuto accesso all’istruzione universitaria. Questo rappresenta un cambio di paradigma che mina la coesione sociale e la mobilità intergenerazionale».
Teorie da rivedere: il peso delle ideologie
Robinson ha ammesso che il quadro odierno impone un aggiornamento delle teorie economiche sviluppate negli ultimi decenni, in particolare quelle esposte nei libri “Why Nations Fail” e “The Narrow Corridor”, scritti insieme a Daron Acemoglu. «Ci siamo concentrati sugli strumenti materiali dello sviluppo – ha detto – come il numero di brevetti o di ricercatori. Ma oggi, la spinta politica sembra provenire da logiche ideologiche che prescindono da questi parametri».
Il riferimento, mai diretto ma chiaramente allusivo, è all’influenza crescente di modelli economici orientati a una drastica riduzione dell’intervento statale, in favore di una governance affidata in larga misura al settore privato. Robinson ha definito questo approccio come “un progetto ideologico che va oltre l’economia” e che pone sfide nuove alla sostenibilità del modello americano.
Inclusione, tecnologia e tensioni globali
Nel corso di un colloquio con Il Sole 24 Ore, l’economista ha poi riflettuto sul ruolo delle tecnologie emergenti nell'accentuare le disuguaglianze. Ha precisato che l’intelligenza artificiale, per esempio, può produrre effetti diversi in base alle scelte politiche: «In Paesi come la Germania o la Svezia l’impatto è mitigato da politiche redistributive, mentre nei contesti anglosassoni si osserva un aumento delle disparità».
Robinson ha affrontato anche il tema dell’instabilità in Africa subsahariana, dove la fragilità delle istituzioni ha aperto spazio all’ascesa di governi militari. Secondo lui, si tratta della risposta a un lungo periodo di democrazie formali, incapaci di generare consenso e legittimità.
Uno scenario aperto
«Dove ci condurrà tutto questo?». È con questa domanda che Robinson ha concluso il suo intervento. Una chiusura volutamente sospesa, che riflette l’incertezza di una fase storica in cui anche i modelli più consolidati sembrano perdere stabilità.
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